giovedì, dicembre 18, 2008

LA CRISI ATTUALE E’ CRISI DI SISTEMA

La crisi attuale è crisi di sistema. Di cui non si prevedono né la profondità né la durata .
E’ una crisi che viene da lontano e trova i suoi fondamenti negli indirizzi liberistici che sono stati la reazione ai movimenti degli anni ’60-’70.
Questi indirizzi hanno trovato carburante nello sviluppo tecnologico (le cui basi si devono comunque a ricerche risalenti agli anni precedenti: transistor, micro-chip, silicio, informatica)
e nella prima e seconda (1973-1979) crisi del petrolio
a questo si è accompagnato:

- il processo inflazionistico ( a sua volta innescato dalla crisi del dollaro a seguito della guerra del Vietnam, fine del gold exchange standard sancito a Bretton Woods, cui è seguita l’impennata dei prezzi del petrolio, la crisi dei paesi sottosviluppati, etc.)

- il progressivo declino manifatturiero tradizionale degli USA e il declino della sua produttività

- la produzione di nuovi prodotti (computer e TLC)

- la rottura del sistema fordista classico che era stata sia l’ossatura della classe operaia precedente (contro cui si era comunque rivoltata negli anni ’60 fino a produrne la rottura e poi la fine e trasformazione)

- la crisi strisciante del welfare state, soprattutto negli Usa che, con l’avvento della presidenza Reagan impongono la vittoria della scuola di Chicago e la sua visione della teoria economica:

- vengono a poco a poco modificate sia le modalità di costruzione delle statistiche (da quelle che compongono il paniere dei beni che calcolano l’inflazione a quelle relative ai criteri che misurano la disoccupazione, agli aggregati monetari M2 e M3 da seguire per valutare la politica monetaria)

- istruzione e sanità diventano sempre più strettamente private accelerandone l’insostenibilità dei costi e degradandone la qualità . Questo sistema sarà poi seguito anche da India e Cina. Almeno fino ad oggi, momento in cui si appalesa tutta la sua grande inefficienza e incapacità a reggere un momento di profonda trasformazione. A dimostrazione che il sistema di privatizzazione totale dei servizi alloca le risorse al livello mediamente più basso, contrariamente a quanto invece sbandierato ai quattro venti per decenni.

- Desindacalizzazione dei rapporti industriali

- Dagli anni ’80 comincia così il calo della quota dei salari sul Pil Usa
- D’ora in poi ci vorranno due stipendi a famiglia per vivere alle condizioni precedenti

- L’aumento del lavoro femminile (grande conquista in sé) maschera la progressiva perdita di potere d’acquisto dei salari

- Il progressivo abbandono del sostegno pubblico all’istruzione e alla sanità etc. viene sostituito da un “effetto ricchezza” che diventerà l’anima e la dorsale su cui si costruiranno le illusioni di sostenere tramite una crescita eterna degli asset finanziari i nuovi servizi divenuti nel frattempo sempre più cari: la Borsa e i Fondi di investimento e Fondi Pensione devono sostituire la mano pubblica

- Il mantra sarà così per decenni:


o Globalizzazione dei mercati finanziari e dei capitali
o Privatizzazione di tutte le situazioni di monopolio pubblico:
 Sanità
 Istruzione
 Sistema pensionistico
 Pubbliche Utilities:
• Acqua
• Energia
• Sistemi ferroviari e trasporti pubblici in genere


o Taglio dei salari e flessibilità (cosiddetta riforma del mercato del lavoro) che continua ad essere invocata in continuazione anche in presenza di un crollo della domanda dovuta proprio alla finalmente evidente emersione del LIVELLO INSUFFICIENTE DEI SALARI

- il mantra continuava a recitare anche che il taglio delle tasse e il conseguente trasferimento di ricchezza dalla classe media alle classi più ricche (e intraprendenti, si aggiungeva) avrebbe comportato una migliore allocazione delle risorse, maggiori investimenti, anche in ricerca (tramite i private equity), innalzando così il livello medio della ricchezza etc. I consumi dei ricchi avrebbero fato da traino all’intero sistema, in sostanza.

- I guadagni permessi dalle Borse avrebbero pagato e sostenuto tutto: i servizi, le pensioni, la ricerca privata, gli investimenti in imprese innovative

- A condizione che gli utili fossero molto, ma molto elevati, tali da consentire la crescita degli asset, tali da sostenere il sistema degli hedge fund, che avrebbero equilibrato tutto, fornendo ulteriore benzina…

Su tutto imperava una dottrina economica che irrideva Keynes, l’intervento dello Stato e della mano pubblica, sostituiva il benefattore e la carità al welfare, richiamava sempre più gente alle business school, ai corsi di economia, ai master di finanza e gestione finanziaria, etc.

Riguardo alle risorse energetiche e materiali in genere, la dottrina economica dominante si beava di un sornione schemino per cui tutto si risolveva in un gioco tra domanda e offerta: questa risolveva sia la scelta dei vari fattori, delle tecnologie, spingeva a individuare quelle nuove sostitutive delle precedenti, saltava a piè pari la dimensione finita delle risorse fisiche, etc.
Senza mai prendere in considerazione che al massimo queste forse possono orientare da che parte spingere scelte che invece sono già state fatte in altre parti del sistema, la ricerca di base, la coscienza etica anche, la coscienza che le risorse sono drammaticamente finite ….l’insostenibilità di una distribuzione sociale sperequata, per esempio.

La produzione e distribuzione dei prodotti agricoli seguiva lo stesso schema producendo distorsioni produttive che avrebbero impoverito drammaticamente i terreni, ridotto la biodiversità, accelerando criminalmente il massacro e sfruttamento degli animali e con ciò accelerando l’impoverimento delle condizioni climatiche e costituendo uno dei principali fattori dell’effetto serra: il dolore degli animali comincia così a cascare e a ritorcersi sul sistema produttivo umano che li usa in maniera così demente.

Accanto a questo si stava profilando la grande diffusione del sistema televisivo, imperante, che si collocava al centro del sistema dei media del tempo.
Centralizzato, in condizioni di oligopolio stretto, direttamente dall’ alto verso il basso.
Un sistema di reti centralizzate simile alle reti centralizzate della distribuzione dell’energia.


Ad un certo punto, lo schema si rompe:
l’epoca delle energie fossili, base dei sistemi sopra citati, comincia a cedere [l’ultimo tentativo di tenere insieme modello finanziario, centralità del dollaro, petrolio, iniziativa privata spinta fino all’economia criminale (grandi stati, come la Russia, dominata da gang mafio-servizi segreti fino ai vertici dello stato) a quella che viene anche denominata “Shock economy”, alla gestione perfino dei servizi di logistica e di security , può essere individuato nella disastrosa guerra in Iraq]

La crescita infinita del valore degli asset finanziari, ma poi anche immobiliari, ovviamente si ferma (è banale, ma all’epoca nessuno aveva VOLUTO vederlo: quando l’80% della popolazione possiede una casa, oppure anche oltre come in Spagna, dove il “botto” sarà anche più grave, si raschia il fondo del barile che così si sfonda…), i fondi si accorgono di essere scoperti, ci si accorge che molti utili di imprese sono fittizi (più carta che reali: per esempio le case automobilistiche guadagnavano di più con le loro finanziarie che fornivano prestiti per l’acquisto delle auto che con la produzione stessa), e guarda caso si scopre che l’industria dell’auto è ormai un vecchio rudere industriale che lavora in perdita da alcuni decenni (almeno in USA), si scatena così l’ultima corsa a ciò che sembra crescere di valore (petrolio che ormai rappresenta un bene in via di prosciugamento finale, il cibo in un mondo che cresce a dismisura, materie prime per il 40% della popolazione mondiale che sta uscendo dalla povertà).
Ma anche questo si ferma: una furiosa necessità di denaro per coprire buchi emersi da altre parti, qualche colpo di tosse del sistema produttivo reale che innesca alcuni primi timori di diminuzione della domanda, una piccola oscillazione in senso inverso e il rivolo iniziale si trasforma in un’ondata di vendite e di acquisto di future su indici sempre più velocemente calanti.
E così scoppia la bolla…finisce la carta e restano utili in rosso, conti in perdita, forti contrazioni di domanda, si scopre che il modello produzione-consumo operativo da decenni è ormai obsoleto , che è tutto vecchio, che le infrastrutture che dovevano essere fatte in project financing stanno andando a pezzi, che le reti di distribuzione di energia sono arrugginite, per non parlare di quelle che trasportano il petrolio o il gas ormai corrose fino ad essere sempre più bucherellate…

Si scopre che le aspettative del mercato degli immobili erano sballate, da parte dei costruttori, delle banche e infine, naturalmente, delle famiglie. Il caso della Spagna è indicativo oltre ogni misura: il 25% del Pil è costituito dal settore delle costruzioni.
E’ qui solo il caso di citare la pletora di commenti entusiasti da parte della nostra stampa economica che esaltava il modello spagnolo, la sua produttività, la sua modernità, scambiando i mattoni e il cemento per innovazione tecnologica, intelligenza immateriale, ricerca scientifica…la famosa flessibilità del suo mercato del lavoro (masse di lavoratori edili usati come schiavi e ultra-sottopagati, come gli extracomunitari nelle nostre campagne o gli stessi nella nostra edilizia altrettanto demente).


E la Russia che pensava a ricostruire imperi si trova a guardare con orrore un prezzo del gas e del petrolio insufficiente e reggere i suoi conti immediati….
E dire che davano Putin per essere intelligentissimo e freddissimo e…
Per dare alcuni numeri in materia: sembra che i budget statali di molti paesi del M.O. non siano in grado di reggere a livelli dei prezzi come gli attuali: l’Iran non può stare sotto i 80 dollari a barile, la Russia abbia problemi a 90, e in linea di massima questa sembra essere all’incirca la linea di galleggiamento.



la Telematica e Internet si affiancano al sistema centralizzato e gerarchico di trasmissione delle informazioni, diventano il primo strumento per la globalizzazione dei mercati finanziari (soprattutto le prime forme di trasmissione tramite telefax e con reti interne tra banche) e poi cominciano a fornire un modello diverso di gestione del flusso di informazioni, di decentralizzazione delle risorse, della possibilità di convivenza del piccolo sistema, indipendente, accanto al grande che non è più il solo produttore efficiente.
Poi arrivano le applicazioni, nell’arco dei prossimi due/tre anni, delle nuove tecnologie in grado di trasferire non più solo 100 mega bps (bit per second) ma addirittura da 10 a 100 giga bps (tramite la fotonica del silicio e l’Avalanche Photo Detector ideato dalla Intel), arrivando quindi ad aprire lo spazio per le applicazione in 3D, il controllo a distanza, la telemedicina integrata ad immagini, la sperimentazione “virtuale” di laboratorio on-line, la connessione multipla di migliaia di computer per risolvere problemi di calcolo paralleli, etc.

Tutto questo vuol dire nuovi prodotti, che emergono dall’intelligenza immateriale, vuol dire porsi sulla strada di un sistema produttivo orientato al benessere dei cittadini e non alla rincorsa demente di consumo compulsivo secondo un modello che è ormai giunto al limite.
Più intelligenza e meno consumo smodato di risorse, tra cui soprattutto i territorio.

Vuol dire vedere anche la decentralizzazione come uno dei possibili sistemi in grado di risolvere i problemi di spreco di risorse prodotte dalle scelte conseguenti alla centralizzazione dei grandi sistemi caratteristici del passato: un tempo crollarono i grandi imperi caratterizzati dalla centralizzazione dispotica delle infrastrutture create inizialmente per convogliare acque per l’irrigazione delle colture, perché quei sistemi erano diventati ecologicamente distruttivi, l’uso intensivo ne aveva mostruosamente aumentato la capacità distruttiva, così cominciarono a convogliare acqua salmastra (la allora fertile Mezzaluna) fino a produrre un immenso deserto dove inizialmente c’erano complessi sistemi caratterizzati da biodiversità e da ricchezza ecologica.
Guarda caso ci si è accorti solo ora che le zone umide, le paludi, sono dei formidabili sistemi di assorbimento della CO2 in eccesso.




2) il berlusconismo è entrato in fase di crisi finale

E’ iniziata la fase di declino inarrestabile del berlusconismo .

Al di là di evanescenti analisi basate su sondaggi o sull’immancabile gossip da fine impero TV, sono i tempi della crisi che stabiliscono fin da ora la crisi irreversibile del berlusconismo.
Senza peraltro far avanzare di un passo le probabilità che le attuali oligarchie del centrosinistra siano in grado di cogliere la minima occasione di inversione della situazione e recuperare un minimo di credibilità.
I giochi da dietro l’angolo, gli ammiccamenti, gli appuntamenti a Porta a Porta (peraltro finalmente crollano le vendite degli assolutamente inutili libri di Bruno Vespa e crescono quelle degli ancora più dementi libri di D’Agostino-Dagospia…), le vesti stracciate di teo-dem vari, le manovre per agganciare un centro moderato (che passano per grande abilità politica…), sono imbronciamenti da bambini…

Sono i tempi della crisi a stabilire chi e cosa è in gioco:

“The New Deal was on the one hand much larger than any recent government initiatives in the U.S., and on the other hand too small for the crisis of the 1930s – or for today. Rebuilding our infrastructure and social programs, while reducing carbon emissions to a sustainable level, will not be finished in a year, or even one presidential term. An ongoing effort is required, more on the scale of wartime mobilization or the active engagement of governments in successful development strategies. With such an effort, there will be a realiable set of investment opportunities in the production of real, socially useful goods and services, as well as a much-strengthened government empowered to regulate and prevent dangerous forms of speculation and undesirable financial “innovations”.”


Ora anche Cina e India devono convertire il loro modello di sviluppo. Meno dipendenza dalle esportazioni e più spazio allo sviluppo interno.
Per la Cina questo vuol dire: Welfare, istruzione, sanità pensioni.




3) La variabile territorio: due approcci

Si fa un gran parlare di “territorio”. A sinistra si invoca il “ritorno al territorio” con la stessa ingenuità e leggerezza con cui ci si richiama al “ritorno alla natura” .
In realtà esistono due approcci al territorio:
- approccio ingenuo
- approccio reale
-

E’ strano che si facciano promotori di questa linea proprio coloro che in questi ultimi dieci anni sono stati in prima linea a saccheggiare e distruggere il territorio, cementificandolo fino all’inverosimile, ignorandone le componenti reali e guardandolo solo come “spazio da consumare”. In primis proprio i responsabili delle amministrazioni locali che ne hanno fatto scempio. E di quelle di sinistra in testa.
Tre milioni di ettari ricoperti da cemento in 10 anni, come certificato da Italia Nostra in una recente ricerca.

In realtà dietro la frase “torniamo al territorio”, si vede solo l’idea di indagare da vicino, con sondaggi e altri strumenti da usare “porta a porta” per “sentire” il “polso alla gente”.
Visione banale e assolutamente perdente, priva di visione direttiva e di comprensione di cosa invece sia il territorio reale.
Che è costituito da componenti quali il capitale insediativi, quellotivo, quello ambientale, quello sociale (che comprende il livello di coesione, etc.), sostenuto dal livello di welfare, etc.

Ignorare questo significa fare solo annunci.