lunedì, gennaio 21, 2008

Di nuovo a proposito di filiere dei fattori

Riportiamo le dichiarazioni di He Fan (Repubblica del 21.1.2008), intervistato da Rampini: "...non sarà la rivalutazione del renminbi a correggere gli squilibri commerciali. Le esportazioni cinesi NON SONO MOLTO SENSIBILI AL TASSO DI CAMBIO. Perfino se rivalutassimo il renminbi del 20% o addirittura del 50% continueremmo ad avere un attivo commerciale. La ragione va cercata nei cambiamenti strutturali dell'economia mondiale e del commercio tra le nazioni. Non bisogna ragionare secondo i vecchi schemi per cui noi ci specializziamo nei prodotti ad alta intensità di lavoro come le scarope e i vestiti, e in cambio importavamo alta tecnologia come gli Airbus. Il carattere distintivo della globalizzazione è l'immensa dimensione della delocalizzazione e dell'outsourcing in ogni settore industriale. Le multinazionali europee ed americane devono reagire alla concorrenza riducendo i costi e quindi spostano continuamente interi processi produttivi in Cina e in altri paesi emergenti. Gran parte delle nostre esportazioni (dalla Cina verso l'estero) fanno parte di questo fenomeno: importiamo materie prime e semilavorati, li trasformiamo, creiamo valore aggiunto e riesportiamo, spesso per conto di multinazionali occidentali. Per quanto si rivaluti la nostra moneta, molte produzioni di computer o di scarpe non torneranno mai in Europa."

Il tema è quello della trasformazione degli scambi commerciali mondiali, diventati sempre più di tipo inter-industriale. Questo discorso si allaccia quindi alla impossibilità da parte degli Usa (come sottolineato nel post precedente) di riequilibrare la loro bilancia commerciale attraverso la svalutazione del dollaro.

Altro tema che vale la pena di sottolineare è quello che vede affiancarsi, alla paura di un riemergere dell'inflazione, della tesi dell'approssimarsi di una vera e propria DEFLAZIONE, "tirata" dalla crisi di liquidità e dal possibile "credit crunch". A tal proposito segnaliamo l'articolo "Wrong 'Flation" del 19 gennaio 2008. http://www.financialarmageddon.com/

Insomma, siamo nella situazione in cui si stanno intrecciando tutti fattori di tipo strutturale.

giovedì, gennaio 17, 2008

Usa recessione la casa cade sulla testa

La situazione economica degli Usa è ormai entrata in fase recessiva:
- calo della costruzione di nuove case come non si era mai visto a partire dal 1980.
- calo degli investimenti
- calo dei salari reali a - 0,9%
- crisi di liquidità indotto dai subprime, ma più in generale dalle politiche di cartolarizzazione e di totale non-trasparenza nel mercato dei titoli derivati e dei "pacchetti" immessi sul mercato
- Merryl Lync e Morgan Stanley che denunciano perdite di decine di miliardi di dollari
- Il Governatore della Fed che insiste perché alla politica monetaria si affianchi anche un piano di alleggerimento fiscale pari almeno a 100 miliardi di dollari
- calo degli acquisti da parte dei consumatori nel periodo natalizio

a questo si accompagna una crescita del livello dei prezzi pari al 4,1%
- il prezzo del petrolio e le sue ricadute su tutte le altre merci

Io ritengo che, seguendo le analisi di Roudini, la crisi immobiliare sia appena agli inizi, che si stia manifestando con alcuni primi segni anche in Europa (Inghilterra tra le prime ad accorgersene insieme alla Spagna).

Su tutto grava il grande indebolimento del dollaro che determina l'estendersi della crisi al resto del mondo.

In questo quadro manca il problema del deficit commerciale Usa. Che, con un dollaro sempre più debole non riesce a "rimontare". Anche in questo caso si impongono alcune riflessioni. Per "chiudere" il deficit occorre che i consumatori americani consumino meno prodotti che vengono dall'estero oppure che siano vendute più merci americane all'estero. In entrambi i casi sembra che non vi siano delle grandi opportunità. Infatti, per consumare meno prodotti esteri o si diminuisce la domanda (che potrebbe avvenire con un calo netto dei consumi, il ché non sembra proprio la strada migliore per contrastare la crisi economica) oppure si sostituiscono prodotti americani a quelli importati. Quest'ultima possibilità sembra veramente "lunare": vorrebbe dire che le multinazionali americane, che negli ultimi vent'anni hanno delocalizzato le loro produzioni in Cina, in India, nella Malesia etc. ora ri-localizzano la produzione di nuovo sul suolo Usa. Impossibile. La delocalizzazione è ormai un dato strutturale, al massimo si potrà vedere una sostituzione delle imprese americane (ed europee) con l'espansione di imprese cinesi e indiane, per esempio, che ne prenderanno il posto.
Analogamente sembra difficile che gli Usa siano in grado di "chiudere" il deficit con un incremento delle loro vendite all'estero.
Se infatti andiamo a guardare la composizione del commercio estero Usa, vediamo che poche sono le voci attive:
- settore aerospaziale
- servizi alle TLC
- servizi finanziari e assicurativi
- intrattenimento (cinema e format TV e sport)
- settore educazione

Le altre voci sono quasi tutte in deficit.
In pratica la domanda è: cosa possono ragionevolmente vendere gli Usa al resto del mondo a parte quello che già vendono?



In realtà nessuno riesce ancora a capire cosa stia avvenendo, cioé quali siano le caratteristiche della trasformazione che sta svolgendosi sotto i nostri occhi.

Aggiungiamo anche l'entrata in azione dei Fondi Sovrani, detenuti dalle economie emergentie che stanno cominciando ad entrare a fare sa supporto a vecchie istituzioni occidentali come CityGroup etc.

giovedì, gennaio 03, 2008

Le filiere dei fattori che agiscono sulla trasformazione evolutiva

Le letture che ho presentato si riferiscono sostanzialmente ad alcuni filoni di ricerca di individuazione di quali forze si stanno muovendo nel nostro mondo e quali stanno spingendo, trainando e costruendo l'attuale passaggio trasformazionale della nostra società.
Mancano alcuni testi che avevo già letto negli anni scorsi e che erano centrati sul "picco" del petrolio e delle altre risorse energetiche, sul "twilight nel deserto", il picco raggiunto in Arabia Saudita, per esempio.
Indicativo di quest'ultimo punto è l'attuale ed sempre più evidente incapacità da parte dell'Arabia Saudita di accrescere la produzione giornaliera di petrolio, al di là delle dichiarazioni ufficiali che ormai da anni si susseguono in maniera semopre meno credibili.
Quindi filera del fattore energetico.
Cui si affianca la filiera dell'ambiente, inteso come natura cambiamento climatico, e soprattutto mondo animale.
E' proprio il mondo animale, sempre sottovalutato oppure individuato come semplice momento sottostante alle forze produttive, inteso quindi solo come carne per nutrire l'umanità, che sta producendo una sofferenza sempre più crescente, innarrestabile e alla fin fine immensamente distruttiva. La dieta basata sulla carne ormai comporta la messa i piedi di una gigantescxa macchina di distruzione di massa e di sofferenze inenarrabili per almeno 47 MILIARDI di esseri viventi all'anno. Comporta la produzione di quantità immense di CO2 per il loro trasporto, immaggazzinamento, etc. Comporta la distruzione di aree crescenti di foreste, con conseguente aumento del livello di CO2, di distruzione irreversibile di biodiversità.
Altro momento di accrescimento del CO2 è senz'altro la produzione immensa di cemento e di costruzioni. Oltre a distruggere irremediabilmente il suolo, l'industria delle costruzioni è quella che assorbe una quantità enorme di energia. Il mondo immobiliare produce speculazioni dementi, livelli di inflazione insostenibili, e solo falsamente si presenta come momento produttivo. In realtà distorce l'allocazione degli investimenti attirandoli dove invece dovrebbero essere messi nella ricerca scientifica e nell'istruzione.