giovedì, dicembre 18, 2008

LA CRISI ATTUALE E’ CRISI DI SISTEMA

La crisi attuale è crisi di sistema. Di cui non si prevedono né la profondità né la durata .
E’ una crisi che viene da lontano e trova i suoi fondamenti negli indirizzi liberistici che sono stati la reazione ai movimenti degli anni ’60-’70.
Questi indirizzi hanno trovato carburante nello sviluppo tecnologico (le cui basi si devono comunque a ricerche risalenti agli anni precedenti: transistor, micro-chip, silicio, informatica)
e nella prima e seconda (1973-1979) crisi del petrolio
a questo si è accompagnato:

- il processo inflazionistico ( a sua volta innescato dalla crisi del dollaro a seguito della guerra del Vietnam, fine del gold exchange standard sancito a Bretton Woods, cui è seguita l’impennata dei prezzi del petrolio, la crisi dei paesi sottosviluppati, etc.)

- il progressivo declino manifatturiero tradizionale degli USA e il declino della sua produttività

- la produzione di nuovi prodotti (computer e TLC)

- la rottura del sistema fordista classico che era stata sia l’ossatura della classe operaia precedente (contro cui si era comunque rivoltata negli anni ’60 fino a produrne la rottura e poi la fine e trasformazione)

- la crisi strisciante del welfare state, soprattutto negli Usa che, con l’avvento della presidenza Reagan impongono la vittoria della scuola di Chicago e la sua visione della teoria economica:

- vengono a poco a poco modificate sia le modalità di costruzione delle statistiche (da quelle che compongono il paniere dei beni che calcolano l’inflazione a quelle relative ai criteri che misurano la disoccupazione, agli aggregati monetari M2 e M3 da seguire per valutare la politica monetaria)

- istruzione e sanità diventano sempre più strettamente private accelerandone l’insostenibilità dei costi e degradandone la qualità . Questo sistema sarà poi seguito anche da India e Cina. Almeno fino ad oggi, momento in cui si appalesa tutta la sua grande inefficienza e incapacità a reggere un momento di profonda trasformazione. A dimostrazione che il sistema di privatizzazione totale dei servizi alloca le risorse al livello mediamente più basso, contrariamente a quanto invece sbandierato ai quattro venti per decenni.

- Desindacalizzazione dei rapporti industriali

- Dagli anni ’80 comincia così il calo della quota dei salari sul Pil Usa
- D’ora in poi ci vorranno due stipendi a famiglia per vivere alle condizioni precedenti

- L’aumento del lavoro femminile (grande conquista in sé) maschera la progressiva perdita di potere d’acquisto dei salari

- Il progressivo abbandono del sostegno pubblico all’istruzione e alla sanità etc. viene sostituito da un “effetto ricchezza” che diventerà l’anima e la dorsale su cui si costruiranno le illusioni di sostenere tramite una crescita eterna degli asset finanziari i nuovi servizi divenuti nel frattempo sempre più cari: la Borsa e i Fondi di investimento e Fondi Pensione devono sostituire la mano pubblica

- Il mantra sarà così per decenni:


o Globalizzazione dei mercati finanziari e dei capitali
o Privatizzazione di tutte le situazioni di monopolio pubblico:
 Sanità
 Istruzione
 Sistema pensionistico
 Pubbliche Utilities:
• Acqua
• Energia
• Sistemi ferroviari e trasporti pubblici in genere


o Taglio dei salari e flessibilità (cosiddetta riforma del mercato del lavoro) che continua ad essere invocata in continuazione anche in presenza di un crollo della domanda dovuta proprio alla finalmente evidente emersione del LIVELLO INSUFFICIENTE DEI SALARI

- il mantra continuava a recitare anche che il taglio delle tasse e il conseguente trasferimento di ricchezza dalla classe media alle classi più ricche (e intraprendenti, si aggiungeva) avrebbe comportato una migliore allocazione delle risorse, maggiori investimenti, anche in ricerca (tramite i private equity), innalzando così il livello medio della ricchezza etc. I consumi dei ricchi avrebbero fato da traino all’intero sistema, in sostanza.

- I guadagni permessi dalle Borse avrebbero pagato e sostenuto tutto: i servizi, le pensioni, la ricerca privata, gli investimenti in imprese innovative

- A condizione che gli utili fossero molto, ma molto elevati, tali da consentire la crescita degli asset, tali da sostenere il sistema degli hedge fund, che avrebbero equilibrato tutto, fornendo ulteriore benzina…

Su tutto imperava una dottrina economica che irrideva Keynes, l’intervento dello Stato e della mano pubblica, sostituiva il benefattore e la carità al welfare, richiamava sempre più gente alle business school, ai corsi di economia, ai master di finanza e gestione finanziaria, etc.

Riguardo alle risorse energetiche e materiali in genere, la dottrina economica dominante si beava di un sornione schemino per cui tutto si risolveva in un gioco tra domanda e offerta: questa risolveva sia la scelta dei vari fattori, delle tecnologie, spingeva a individuare quelle nuove sostitutive delle precedenti, saltava a piè pari la dimensione finita delle risorse fisiche, etc.
Senza mai prendere in considerazione che al massimo queste forse possono orientare da che parte spingere scelte che invece sono già state fatte in altre parti del sistema, la ricerca di base, la coscienza etica anche, la coscienza che le risorse sono drammaticamente finite ….l’insostenibilità di una distribuzione sociale sperequata, per esempio.

La produzione e distribuzione dei prodotti agricoli seguiva lo stesso schema producendo distorsioni produttive che avrebbero impoverito drammaticamente i terreni, ridotto la biodiversità, accelerando criminalmente il massacro e sfruttamento degli animali e con ciò accelerando l’impoverimento delle condizioni climatiche e costituendo uno dei principali fattori dell’effetto serra: il dolore degli animali comincia così a cascare e a ritorcersi sul sistema produttivo umano che li usa in maniera così demente.

Accanto a questo si stava profilando la grande diffusione del sistema televisivo, imperante, che si collocava al centro del sistema dei media del tempo.
Centralizzato, in condizioni di oligopolio stretto, direttamente dall’ alto verso il basso.
Un sistema di reti centralizzate simile alle reti centralizzate della distribuzione dell’energia.


Ad un certo punto, lo schema si rompe:
l’epoca delle energie fossili, base dei sistemi sopra citati, comincia a cedere [l’ultimo tentativo di tenere insieme modello finanziario, centralità del dollaro, petrolio, iniziativa privata spinta fino all’economia criminale (grandi stati, come la Russia, dominata da gang mafio-servizi segreti fino ai vertici dello stato) a quella che viene anche denominata “Shock economy”, alla gestione perfino dei servizi di logistica e di security , può essere individuato nella disastrosa guerra in Iraq]

La crescita infinita del valore degli asset finanziari, ma poi anche immobiliari, ovviamente si ferma (è banale, ma all’epoca nessuno aveva VOLUTO vederlo: quando l’80% della popolazione possiede una casa, oppure anche oltre come in Spagna, dove il “botto” sarà anche più grave, si raschia il fondo del barile che così si sfonda…), i fondi si accorgono di essere scoperti, ci si accorge che molti utili di imprese sono fittizi (più carta che reali: per esempio le case automobilistiche guadagnavano di più con le loro finanziarie che fornivano prestiti per l’acquisto delle auto che con la produzione stessa), e guarda caso si scopre che l’industria dell’auto è ormai un vecchio rudere industriale che lavora in perdita da alcuni decenni (almeno in USA), si scatena così l’ultima corsa a ciò che sembra crescere di valore (petrolio che ormai rappresenta un bene in via di prosciugamento finale, il cibo in un mondo che cresce a dismisura, materie prime per il 40% della popolazione mondiale che sta uscendo dalla povertà).
Ma anche questo si ferma: una furiosa necessità di denaro per coprire buchi emersi da altre parti, qualche colpo di tosse del sistema produttivo reale che innesca alcuni primi timori di diminuzione della domanda, una piccola oscillazione in senso inverso e il rivolo iniziale si trasforma in un’ondata di vendite e di acquisto di future su indici sempre più velocemente calanti.
E così scoppia la bolla…finisce la carta e restano utili in rosso, conti in perdita, forti contrazioni di domanda, si scopre che il modello produzione-consumo operativo da decenni è ormai obsoleto , che è tutto vecchio, che le infrastrutture che dovevano essere fatte in project financing stanno andando a pezzi, che le reti di distribuzione di energia sono arrugginite, per non parlare di quelle che trasportano il petrolio o il gas ormai corrose fino ad essere sempre più bucherellate…

Si scopre che le aspettative del mercato degli immobili erano sballate, da parte dei costruttori, delle banche e infine, naturalmente, delle famiglie. Il caso della Spagna è indicativo oltre ogni misura: il 25% del Pil è costituito dal settore delle costruzioni.
E’ qui solo il caso di citare la pletora di commenti entusiasti da parte della nostra stampa economica che esaltava il modello spagnolo, la sua produttività, la sua modernità, scambiando i mattoni e il cemento per innovazione tecnologica, intelligenza immateriale, ricerca scientifica…la famosa flessibilità del suo mercato del lavoro (masse di lavoratori edili usati come schiavi e ultra-sottopagati, come gli extracomunitari nelle nostre campagne o gli stessi nella nostra edilizia altrettanto demente).


E la Russia che pensava a ricostruire imperi si trova a guardare con orrore un prezzo del gas e del petrolio insufficiente e reggere i suoi conti immediati….
E dire che davano Putin per essere intelligentissimo e freddissimo e…
Per dare alcuni numeri in materia: sembra che i budget statali di molti paesi del M.O. non siano in grado di reggere a livelli dei prezzi come gli attuali: l’Iran non può stare sotto i 80 dollari a barile, la Russia abbia problemi a 90, e in linea di massima questa sembra essere all’incirca la linea di galleggiamento.



la Telematica e Internet si affiancano al sistema centralizzato e gerarchico di trasmissione delle informazioni, diventano il primo strumento per la globalizzazione dei mercati finanziari (soprattutto le prime forme di trasmissione tramite telefax e con reti interne tra banche) e poi cominciano a fornire un modello diverso di gestione del flusso di informazioni, di decentralizzazione delle risorse, della possibilità di convivenza del piccolo sistema, indipendente, accanto al grande che non è più il solo produttore efficiente.
Poi arrivano le applicazioni, nell’arco dei prossimi due/tre anni, delle nuove tecnologie in grado di trasferire non più solo 100 mega bps (bit per second) ma addirittura da 10 a 100 giga bps (tramite la fotonica del silicio e l’Avalanche Photo Detector ideato dalla Intel), arrivando quindi ad aprire lo spazio per le applicazione in 3D, il controllo a distanza, la telemedicina integrata ad immagini, la sperimentazione “virtuale” di laboratorio on-line, la connessione multipla di migliaia di computer per risolvere problemi di calcolo paralleli, etc.

Tutto questo vuol dire nuovi prodotti, che emergono dall’intelligenza immateriale, vuol dire porsi sulla strada di un sistema produttivo orientato al benessere dei cittadini e non alla rincorsa demente di consumo compulsivo secondo un modello che è ormai giunto al limite.
Più intelligenza e meno consumo smodato di risorse, tra cui soprattutto i territorio.

Vuol dire vedere anche la decentralizzazione come uno dei possibili sistemi in grado di risolvere i problemi di spreco di risorse prodotte dalle scelte conseguenti alla centralizzazione dei grandi sistemi caratteristici del passato: un tempo crollarono i grandi imperi caratterizzati dalla centralizzazione dispotica delle infrastrutture create inizialmente per convogliare acque per l’irrigazione delle colture, perché quei sistemi erano diventati ecologicamente distruttivi, l’uso intensivo ne aveva mostruosamente aumentato la capacità distruttiva, così cominciarono a convogliare acqua salmastra (la allora fertile Mezzaluna) fino a produrre un immenso deserto dove inizialmente c’erano complessi sistemi caratterizzati da biodiversità e da ricchezza ecologica.
Guarda caso ci si è accorti solo ora che le zone umide, le paludi, sono dei formidabili sistemi di assorbimento della CO2 in eccesso.




2) il berlusconismo è entrato in fase di crisi finale

E’ iniziata la fase di declino inarrestabile del berlusconismo .

Al di là di evanescenti analisi basate su sondaggi o sull’immancabile gossip da fine impero TV, sono i tempi della crisi che stabiliscono fin da ora la crisi irreversibile del berlusconismo.
Senza peraltro far avanzare di un passo le probabilità che le attuali oligarchie del centrosinistra siano in grado di cogliere la minima occasione di inversione della situazione e recuperare un minimo di credibilità.
I giochi da dietro l’angolo, gli ammiccamenti, gli appuntamenti a Porta a Porta (peraltro finalmente crollano le vendite degli assolutamente inutili libri di Bruno Vespa e crescono quelle degli ancora più dementi libri di D’Agostino-Dagospia…), le vesti stracciate di teo-dem vari, le manovre per agganciare un centro moderato (che passano per grande abilità politica…), sono imbronciamenti da bambini…

Sono i tempi della crisi a stabilire chi e cosa è in gioco:

“The New Deal was on the one hand much larger than any recent government initiatives in the U.S., and on the other hand too small for the crisis of the 1930s – or for today. Rebuilding our infrastructure and social programs, while reducing carbon emissions to a sustainable level, will not be finished in a year, or even one presidential term. An ongoing effort is required, more on the scale of wartime mobilization or the active engagement of governments in successful development strategies. With such an effort, there will be a realiable set of investment opportunities in the production of real, socially useful goods and services, as well as a much-strengthened government empowered to regulate and prevent dangerous forms of speculation and undesirable financial “innovations”.”


Ora anche Cina e India devono convertire il loro modello di sviluppo. Meno dipendenza dalle esportazioni e più spazio allo sviluppo interno.
Per la Cina questo vuol dire: Welfare, istruzione, sanità pensioni.




3) La variabile territorio: due approcci

Si fa un gran parlare di “territorio”. A sinistra si invoca il “ritorno al territorio” con la stessa ingenuità e leggerezza con cui ci si richiama al “ritorno alla natura” .
In realtà esistono due approcci al territorio:
- approccio ingenuo
- approccio reale
-

E’ strano che si facciano promotori di questa linea proprio coloro che in questi ultimi dieci anni sono stati in prima linea a saccheggiare e distruggere il territorio, cementificandolo fino all’inverosimile, ignorandone le componenti reali e guardandolo solo come “spazio da consumare”. In primis proprio i responsabili delle amministrazioni locali che ne hanno fatto scempio. E di quelle di sinistra in testa.
Tre milioni di ettari ricoperti da cemento in 10 anni, come certificato da Italia Nostra in una recente ricerca.

In realtà dietro la frase “torniamo al territorio”, si vede solo l’idea di indagare da vicino, con sondaggi e altri strumenti da usare “porta a porta” per “sentire” il “polso alla gente”.
Visione banale e assolutamente perdente, priva di visione direttiva e di comprensione di cosa invece sia il territorio reale.
Che è costituito da componenti quali il capitale insediativi, quellotivo, quello ambientale, quello sociale (che comprende il livello di coesione, etc.), sostenuto dal livello di welfare, etc.

Ignorare questo significa fare solo annunci.

venerdì, novembre 21, 2008

Senza intervento politico il clima....

Segnalo una bella ricerca sugli effetti del cambiamento climatico nel caso di insistente e continuativa mancanza di azione da parte della politica:
il sito è quello di VoxEu

Ultime da Roudini

On Nouriel Roubini's Global EconoMonitor, Nouriel explains why the U.S. economic and financial crises reinforce each other and have yet to bottom. He illustrates several persistent and structural risks for U.S. consumer spending in “20 Reasons Why the U.S. Consumer is Capitulating, thus Triggering the Worst U.S. Recession in Decades“. As consumption provides 71% of U.S. GDP, a consumer recession could result in the worst recession since World War II, starting with a minimum 5% GDP contraction in Q4 2008 and ending at least 3 times as long and deep as the previous two recessions. To make matters worse, the market’s loss of confidence in policymakers despite aggressive policy actions will keep financial losses mounting. To pull out of this mess, Nouriel calls for committing the entirety of TARP to recapitalizing financial firms in “Transcript of Talk at AEI seminar on the "The Deflating Mortgage and Housing Bubble, Part IV: Where Is the Bottom?”

.

giovedì, novembre 20, 2008

Giusto per non dimenticare

In questo momento nel Governo e in posizioni di grande prestigio e potere ci sono persone già appartenenti alla P2:
Berlusconi
Fabrizio Cicchitto
oltre a tanti altri...

Guardate Travaglio, in una tavola rotonda a Micromega:



Buona visione.

Tre commenti a crisi che sottolineano quanto postato da me inprecedenza

Benetazzo su "Se fallisce la General Motors"



Ma ritengo sia da meditare anche questo testo da VoxEu di Nicholas Bloom:

Vecchi appunti del mese di giugno 2008

Si tratta di cose risalenti a sei mesi fa ma ancora attuali.


I passaggi strutturali del nuovo assetto geoeconomico e le sue sfide

Crisi: i suoi fattori

Il passaggio determinante ad un altro assetto mondiale, o meglio, ad un altro percorso di sviluppo evolutivo delle relazioni geoeconomiche e sociali mondiali


L’energia: ogni “svolta” storica è sempre stata segnata da mutamenti strutturali nell’uso delle diverse fonti energetiche [forza umana, animale, acqua, fuoco-legna-disboscamenti, vento, fino ai sempre più veloci susseguirsi dell’uso delle fonti di energia fossili (torba, carbone, petrolio, gas) etc.]


Centralizzazione contro decentralizzazione sul territorio


Modularizzazione produttiva spinta al massimo1.

Questo esige però una massa di trasporti enorme e particolarmente articolata: la cosa pone problemi, specie in una fase di alti costi energetici per il trasporto.


Si sta accentuando la polarizzazione tra produzioni modularizzate e con accesso al mercato di fornitura globale e quelle “locali”.

Il fatto è degno di attenzione anche perché in Italia il settore della nostra meccanica si è integrato al livello internazionale più elevato, con triangolazioni Germania-Cina-Paesi delle’Est, e cresce trainando l’export italiano, mentre restano al palo le produzioni sempre più legate al vecchio “made in Italy” e sempre più “locali” come fornitura e tecnologia.

In questo senso, il discorso di Alberto sulla “biodiversità dei territori” da mettere al centro della riflessione, irrigandola con relazioni esterne e facendone emergere le capacità di integrazione, è veramente strategico oltre a fornire una misura di lettura delle trasformazioni in atto a livello geoeconomico mondiale. Non è un caso che sia stata proprio la grande massa dei “numeri” della Cina a far emergere le sue potenzialità “territoriali”, comprese le diverse “vocazioni” produttive nascoste.2


In questo quadro la crisi energetica si accompagna alla crisi da materie prime a cui ora si aggiunge quella di tipo alimentare.

Dire che ci sono sottostanti dei processi speculativi in realtà non vuole dire nulla, se non che questa è la prova del livello di integrazione e di interdipendenza dei fenomeni sociali ed economici, territoriali e geopolitica, che stanno venendo al pettine.



La finanziarizzazione, il market value, i nuovi (ormai vecchi) modelli di gestione del rischio-credito, la cosiddetta Fabbrica del Fee,


Sembra che un altro metro di interpretazione possa essere il decentramento contro la centralizzazione, o meglio, un nuovo mix tra queste due forze e schemi.

Si potrebbe infatti applicare sia all’energia, all’agricoltura (rimettendo, sia pure con forme nuove, al centro la produzione di qualità nei paesi travolti dalla centralizazione delle produzioni e dall’uniformità delle colture, richiamando in auge la biodiversità come ricchezza economica contro l’appiattimento centralizzato e impoverito delle produzione a tutto grano, tutto mais, tutto caffè, etc.), fino a sistemi di riciclaggio di tutte principali materie prime (rame, oro, platico, alluminio, etc.). In Giappone sono già cominciate le operazioni di riciclaggio di alcuni materiali (oro, rame e platino) dai rifiuti elettronici. Lo stesso sta cominciando a fare anche la Cina.


Questo non va a discapito, anzi, dell’utilizzo di nuovi materiali quali quelli che possono venire dalla ricerca nano-tecnologica.


Organizzazione dei servizi e delle imprese basate su una burocrazia “leggera”.




Cina:

la tecnologia. Come cambia, se cambia, il modello di produzione (minore composizione tecnica del capitale, meno capitale più forza lavoro qualificata3)


non dimentichiamo, come sottolinea Arrighi, che ne fa la base del suo ragionamento, che il concetto di impresa a rete, che sembrava di origine giapponese, in realtà risale alla Cina dei Song e alla “diaspora” cinese nell’area Indonesia, Malesia, etc. che governavano i flussi commerciali di tutta l’area proprio con strutture ramificate.


Al tempo stesso la Cina sta acquisendo tecnologia in tutti i modi4, soprattutto “trainata” dall’espansione commerciale più che dalla ricerca tecnico scientifica stessa, anche se sta comunque rafforzando l’area della ricerca di base, dalle biotecnologie alle ricerche spaziali.


Ma soprattutto si avrebbe una fortissima applicazione di “ricerca” tramite l’imitazione più spinta, fino alla pirateria elevata al cubo, di tecnologie intermedie, del tipo classicamente “incrementale”.

Questo denota comunque una capacità di “conoscenza tacita” di dimensioni estremamente elevate, se in due soli decenni imprese nate praticamente dal nulla5 (le famose “imprese di villaggio”), sono in grado di produrre processi di copiatura così spinti.





1 Vedere il testo di Alberto sul Polo Tecnologico di Bologna, che affronta questo tema.

2 Ne è un segno lo stupore con cui Deng Hsiao Ping e la dirigenza cinese accolse la nascita spontanea proprio delle imprese di villaggio e di contea. Anche Ted Fishman, “Cina Spa”, pg. 80 sui meccanismi iniziali (imitativi e di memoria) dello sviluppo cinese.


3 Indicato da Arrighi, in “Smith in Cina”, che lo riprende da un articolo del Boston Consulting Group (Hout & Lebreton, “The real contest between America and China”, 2003), dove si sostiene che, a differenza di quanto avvenuto con il Giappone una generazione addietro, che aveva re-inventato la manifattura attraverso il controllo di qualità e il continuo incremento migliorativo, la Cina sta de-inventando la manifattura attraverso la diminuzione di capitale investito e la re-introduzione di profili qualificati di forza-lavoro. Il risultato sarebbe maggiore capacità manuale e artigianale, una minore complessità nei processi di produzione e spesso un tempo minore dal design alla produzione.

4 Vedere James Kynge, “Frullati dalla Cina”, 2007, Newton Compton.

5 Veder Hutton sull’argomento

1




C'è un altro argomento che si intreccia pericolosamente con la crisi del petrolio, il mutamento climatico, i processi di urbanizzazione, l'uso sempre più "intensivo" di acqua richiesto dalle tecnologie dell'agricoltura monocolturale e OGM.

Il tema è l'acqua e la sua scarsità sempre più evidente (vedi anche l'articolo di Rampini sulla Cina in Repubblica del 19.06.2008).



lunedì, novembre 17, 2008

Ciò che da mesi avevo anticipato anche su questo mio spazio è arrivato. La crisi più profonda dal 1929. I meccanismi su cui si è innestata sono ormai abbastanza noti e precisamente individuati, anche nel mio post precedente.
Ora siamo alla fase del "...a crisi iniziata" e come uscirne.
Le elzioni alla presidenza degli Stati Uniti di Barak Obama mi fa tirare un sospiro di sollievo, coaì come la presenza di Krugman e di Stiglitz nel suo "Dream Team".
Soprattutto Krugman si è affrattato a scrivere che in questa crisi occorre essere più coraggiosi rispetto a quanto invece viene già avanzato dai settori (sempre loro) conservatori. Questi già accusano la politica del New Deal (come peraltro hanno fatto da decenni) di essere stata una causa dell'accelerazione invece che la cura della crisi degli anni '30 del secolo scorso.
Krgugman invece dimostra che:

a) la curva dei disoccupati era già in fase di ritracciamento prima dell'inizio della II Guerra Mondiale

b) che anzi fu la paura di Roosevelt che rischiò di annacquare i risultati ottenuti

c) che è invece ora di avere coraggio e lanciare un grande piano di investimenti pubblici in Welfare, istruzione pubblica, nuove tecnologie da fonti rinnovabili, una nuova politica industriale (vedi ad esempio gli eventuali aiuti all'industria automobilistica) che dia spazio a nuovio prodotti innovativi (cioé nuovi motori e nuove automobili, per esempio)

La riunione del G20 non ha prodotto un granché, nonostante i comunicati roboanti del nostro "malato di immortalità" presidente del Consiglio dei Ministri.
Inoltre il piano da 80 miliardi di euro per rilanciare l'Italia è sostanzialmente una bufala:
si tratta di soldi già stanziati (Fondi Strutturali Europei), speranze dai soliti Benetton delle Autostrade (che già non investono di loro, figuriamoci se mettono mano al portafoglio oggi), come ben illustrato da Tito Boeri sulla Repubblica di oggi, etc.

Il dubbio generale riguarda:

1) sembra difficile che la crisi immobiliare si riassorba a breve. In genere è un settore che ha una grande inerzia (ha infatti impiegato almeno due anni perché la sua crisi diventasse di evidenza pubblica: è dalla fine del 2004 che si avvertono i primi segni di degenerazione del settore...). C'è infatti chi parla di almeno dieci se non quindici anni. D'altra parte non si capisce CHI dovrebbe essere il soggetto che acquista le case, dal momento che sono rimasti sul mercato solo quelli più deboli (e altrimenti come sarebbe nato il caso subprime) e la classe benestante non può acquistare in eterno case a prezzi comunque da capigiro.

2) la mia personale valutazione è che gli immobili siano sopravvalutati di almeno il 40 se non 50% e finché non si riassorbirà il momento inflazionistico che li ha spinti all'eccesso i prezzi sono destinati a clare fino a questa quota. Ma lentamente, per almeno altri 10 anni.

3) la media dei salari è rimasta esageratamente bassa rispetto alla quota dei profitti sul PIL che ha caratterizzato gli ultimi due decenni, e la macchinetta si è rotta

4) anche perché sognare e spingere le classi medie a gettare soldi in Fondi pensionistici, assicurazioni sanitarie fasulle, idealizzazioni di un0istruzione privata di eccellenza, ha dimostrato di essere un delirio totale: poteva produrre solo carta e finanza di carta e basta.

5) questo appena scritto è probabilmente uno dei motivi di fondo della crisi: salari troppo bassi, che avrebbero dovuto essere sostituiti da creazione di ricchezza da Fondi su Asset finanziari e proprietari che invece non potevano crescere sempre al di sopra della produttività media dell'intero sistema produttivo. Gli americani (ma a certi livelli è avvenuto anche in Europa e in Italia) si indebitavano non già per consumare a qualsiasi costo, ma per sostenere le spese per una sanità privata demente e inefficiente (mantenendo ben 2 milioni di impiegati delle assicurazioni che devono stare dietro alle pratiche sanitarie (il dato è di Paul Krugman)...chissà se ci sono i fannulloni anche là....), ai costi di un sistema di istruzione che privilegia la eccellenza di cinque università e lascia andare tutte le altre...finché la forbice salariale (anche per i laureati) impedisce il rimborso dei debiti contratti per fare l'università. Per comprare auto a costi elevatissimi e con consumi dementi, peraltro per poter andare al lavoro da luoghi sempre più distanti, in un percorso di insostenibilità che si sta infatti accartocciando si se stesso.

lunedì, marzo 31, 2008

Cominciamo a tirare un pò di fili?

Si può cominciare ad operare una prima scansione temporale e logica di quanto è avvenuto negli ultimi 20 anni.

- Prima vengono i tagli ai salari americani (inizio anni ’80)

o Se questo sia conseguenza del calo di produttività oppure della trasformazione industriale che vede (vedi il testo “Il caos prossimo venturo”) il declino in assoluto del settore manifatturiero rispetto ai servizi, oppure della globalizzazione in genere, è tema da approfondire.

- poi arriva la liberalizzazione della finanza

- e la conseguente apertura e globalizzazione dei mercati finanziari

- con la gestione Greenspan comincia anche il periodo di “inflazione degli asset finanziari”

- prima il mercato azionario (bolla Internet)

- poi la liquidità a sostegno della “bolla Internet” sgonfiata e sostituita con

- l’”inflazione” dei valori immobiliari

- che hanno consentito di mascherare il calo dei salari medi della classe media americana a

- favore dei profitti da capitale (in calo ormai a livelli da anni ’30, la quota del lavoro sul Pil rispetto a quella del capitale)

- la liquidità così creata e gli strumenti che ne amplificavano la portata (hedge funds e derivati vari):

o sono diventati espedienti finanziari e contabili per evitare le tasse

o l’ingresso degli hedge funds è intimamente legato alla globalizzazione dell’economia mondiale

§ La richiesta e materie prime (acciaio, rame, stagno, alluminio) ed energetiche da parte di Cina e India sono state amplificate (nei prezzi e sui futures) dagli hedge funds

§ Non so quanto abbiano influito sugli investimenti esteri in Cina e negli altri paesi.

§ Sicuramente hanno influito nel massiccio ricorso alle pratiche di Merger%Acquisition che peraltro non portano mai a reali crescite di mercato o di processi di innovazione produttiva

o i gestori di hedge funds e private equity sono l’ultima frontiera del capitalismo mondiale[1]

o sembra che gli HF e i PE distolgano denaro dagli investimenti reali e prolunghino lo squilibrio tra offerta globale di lavoro e capitale:

§ in questo modo l’autrice di “Economia Canaglia” sostiene che la ricchezza prodotta nei paesi industrializzati viene progressivamente consumata e mai investita, mentre Cina e gli altri paesi emergenti investono capitale e manodopera per migliorare il proprio livello di industrializzazione.

§

- Da tenere presente Marcello De Cecco[2]:

o Sottolinea l’atteggiamento di attesa (e quindi di drenaggio di liquidità – innalzando quindi i tassi a breve più alti di quelli ai quali le banche centrali offrono denaro a breve – procurandosi liquidità senza impiegarla, quindi vanificando di fatto le iniezioni di fondi a breve che le banche centrali continuano a fare)

o Questo è un atteggiamento dannosissimo per l’economia reale, perché ammassano denaro aspettando che i tassi a lunga salgano abbastanza sugli investimenti privi di rischio per investire in essi ricostituendo così i capitali

o Nel frattempo nessuno investe più in immobili peché aspetta il loro ulteriore calo di valore

o Si mormora che l’ultima Asta di Treasury bond americani non sia andata molto bene: se viene meno la domanda estera di Buoni del Tesoro Usa, allora il mondo può davvero incendiarsi…..

- Da ricordare anche Carlo Rubbia su La Repubblica del 30.3.2008:

Nulla di nuovo, ma va sempre sottolineato: il petrolio è fisicamente in fase di diminuzione di offerta, così il gas, il carbone pulito è una gigantesca bufala (il CO2 nascosto sottoterra ha 30.000 di periodo di decadenza, quindi è come non farlo), il nucleare intrinsecamente sicuro non esiste, l'uranio sta diminuenedo in tutto il mondo, è dal 1979 che in Usa non viene costruita una centrale nucleare, ci vogliono 112 anni per costruirne una, i costi dell'elettrico francese sono nascosti dai giganteschi sussidi statali coperti come costi per la difesa. Piccole centrali a torio potrebbero funzionare, ma sono solo sperimentali. Solo il sole può fare realmente qualcosa.

Andiamo avanti a raccogliere indizi.


[1] Loretta Napoleoni, “Economia canaglia”, 2008, Il Saggiatore, pg.61

[2] Affari e Finanza, 31.3.2008, pg. 6

lunedì, gennaio 21, 2008

Di nuovo a proposito di filiere dei fattori

Riportiamo le dichiarazioni di He Fan (Repubblica del 21.1.2008), intervistato da Rampini: "...non sarà la rivalutazione del renminbi a correggere gli squilibri commerciali. Le esportazioni cinesi NON SONO MOLTO SENSIBILI AL TASSO DI CAMBIO. Perfino se rivalutassimo il renminbi del 20% o addirittura del 50% continueremmo ad avere un attivo commerciale. La ragione va cercata nei cambiamenti strutturali dell'economia mondiale e del commercio tra le nazioni. Non bisogna ragionare secondo i vecchi schemi per cui noi ci specializziamo nei prodotti ad alta intensità di lavoro come le scarope e i vestiti, e in cambio importavamo alta tecnologia come gli Airbus. Il carattere distintivo della globalizzazione è l'immensa dimensione della delocalizzazione e dell'outsourcing in ogni settore industriale. Le multinazionali europee ed americane devono reagire alla concorrenza riducendo i costi e quindi spostano continuamente interi processi produttivi in Cina e in altri paesi emergenti. Gran parte delle nostre esportazioni (dalla Cina verso l'estero) fanno parte di questo fenomeno: importiamo materie prime e semilavorati, li trasformiamo, creiamo valore aggiunto e riesportiamo, spesso per conto di multinazionali occidentali. Per quanto si rivaluti la nostra moneta, molte produzioni di computer o di scarpe non torneranno mai in Europa."

Il tema è quello della trasformazione degli scambi commerciali mondiali, diventati sempre più di tipo inter-industriale. Questo discorso si allaccia quindi alla impossibilità da parte degli Usa (come sottolineato nel post precedente) di riequilibrare la loro bilancia commerciale attraverso la svalutazione del dollaro.

Altro tema che vale la pena di sottolineare è quello che vede affiancarsi, alla paura di un riemergere dell'inflazione, della tesi dell'approssimarsi di una vera e propria DEFLAZIONE, "tirata" dalla crisi di liquidità e dal possibile "credit crunch". A tal proposito segnaliamo l'articolo "Wrong 'Flation" del 19 gennaio 2008. http://www.financialarmageddon.com/

Insomma, siamo nella situazione in cui si stanno intrecciando tutti fattori di tipo strutturale.

giovedì, gennaio 17, 2008

Usa recessione la casa cade sulla testa

La situazione economica degli Usa è ormai entrata in fase recessiva:
- calo della costruzione di nuove case come non si era mai visto a partire dal 1980.
- calo degli investimenti
- calo dei salari reali a - 0,9%
- crisi di liquidità indotto dai subprime, ma più in generale dalle politiche di cartolarizzazione e di totale non-trasparenza nel mercato dei titoli derivati e dei "pacchetti" immessi sul mercato
- Merryl Lync e Morgan Stanley che denunciano perdite di decine di miliardi di dollari
- Il Governatore della Fed che insiste perché alla politica monetaria si affianchi anche un piano di alleggerimento fiscale pari almeno a 100 miliardi di dollari
- calo degli acquisti da parte dei consumatori nel periodo natalizio

a questo si accompagna una crescita del livello dei prezzi pari al 4,1%
- il prezzo del petrolio e le sue ricadute su tutte le altre merci

Io ritengo che, seguendo le analisi di Roudini, la crisi immobiliare sia appena agli inizi, che si stia manifestando con alcuni primi segni anche in Europa (Inghilterra tra le prime ad accorgersene insieme alla Spagna).

Su tutto grava il grande indebolimento del dollaro che determina l'estendersi della crisi al resto del mondo.

In questo quadro manca il problema del deficit commerciale Usa. Che, con un dollaro sempre più debole non riesce a "rimontare". Anche in questo caso si impongono alcune riflessioni. Per "chiudere" il deficit occorre che i consumatori americani consumino meno prodotti che vengono dall'estero oppure che siano vendute più merci americane all'estero. In entrambi i casi sembra che non vi siano delle grandi opportunità. Infatti, per consumare meno prodotti esteri o si diminuisce la domanda (che potrebbe avvenire con un calo netto dei consumi, il ché non sembra proprio la strada migliore per contrastare la crisi economica) oppure si sostituiscono prodotti americani a quelli importati. Quest'ultima possibilità sembra veramente "lunare": vorrebbe dire che le multinazionali americane, che negli ultimi vent'anni hanno delocalizzato le loro produzioni in Cina, in India, nella Malesia etc. ora ri-localizzano la produzione di nuovo sul suolo Usa. Impossibile. La delocalizzazione è ormai un dato strutturale, al massimo si potrà vedere una sostituzione delle imprese americane (ed europee) con l'espansione di imprese cinesi e indiane, per esempio, che ne prenderanno il posto.
Analogamente sembra difficile che gli Usa siano in grado di "chiudere" il deficit con un incremento delle loro vendite all'estero.
Se infatti andiamo a guardare la composizione del commercio estero Usa, vediamo che poche sono le voci attive:
- settore aerospaziale
- servizi alle TLC
- servizi finanziari e assicurativi
- intrattenimento (cinema e format TV e sport)
- settore educazione

Le altre voci sono quasi tutte in deficit.
In pratica la domanda è: cosa possono ragionevolmente vendere gli Usa al resto del mondo a parte quello che già vendono?



In realtà nessuno riesce ancora a capire cosa stia avvenendo, cioé quali siano le caratteristiche della trasformazione che sta svolgendosi sotto i nostri occhi.

Aggiungiamo anche l'entrata in azione dei Fondi Sovrani, detenuti dalle economie emergentie che stanno cominciando ad entrare a fare sa supporto a vecchie istituzioni occidentali come CityGroup etc.

giovedì, gennaio 03, 2008

Le filiere dei fattori che agiscono sulla trasformazione evolutiva

Le letture che ho presentato si riferiscono sostanzialmente ad alcuni filoni di ricerca di individuazione di quali forze si stanno muovendo nel nostro mondo e quali stanno spingendo, trainando e costruendo l'attuale passaggio trasformazionale della nostra società.
Mancano alcuni testi che avevo già letto negli anni scorsi e che erano centrati sul "picco" del petrolio e delle altre risorse energetiche, sul "twilight nel deserto", il picco raggiunto in Arabia Saudita, per esempio.
Indicativo di quest'ultimo punto è l'attuale ed sempre più evidente incapacità da parte dell'Arabia Saudita di accrescere la produzione giornaliera di petrolio, al di là delle dichiarazioni ufficiali che ormai da anni si susseguono in maniera semopre meno credibili.
Quindi filera del fattore energetico.
Cui si affianca la filiera dell'ambiente, inteso come natura cambiamento climatico, e soprattutto mondo animale.
E' proprio il mondo animale, sempre sottovalutato oppure individuato come semplice momento sottostante alle forze produttive, inteso quindi solo come carne per nutrire l'umanità, che sta producendo una sofferenza sempre più crescente, innarrestabile e alla fin fine immensamente distruttiva. La dieta basata sulla carne ormai comporta la messa i piedi di una gigantescxa macchina di distruzione di massa e di sofferenze inenarrabili per almeno 47 MILIARDI di esseri viventi all'anno. Comporta la produzione di quantità immense di CO2 per il loro trasporto, immaggazzinamento, etc. Comporta la distruzione di aree crescenti di foreste, con conseguente aumento del livello di CO2, di distruzione irreversibile di biodiversità.
Altro momento di accrescimento del CO2 è senz'altro la produzione immensa di cemento e di costruzioni. Oltre a distruggere irremediabilmente il suolo, l'industria delle costruzioni è quella che assorbe una quantità enorme di energia. Il mondo immobiliare produce speculazioni dementi, livelli di inflazione insostenibili, e solo falsamente si presenta come momento produttivo. In realtà distorce l'allocazione degli investimenti attirandoli dove invece dovrebbero essere messi nella ricerca scientifica e nell'istruzione.