La situazione economica degli Usa è ormai entrata in fase recessiva:
- calo della costruzione di nuove case come non si era mai visto a partire dal 1980.
- calo degli investimenti
- calo dei salari reali a - 0,9%
- crisi di liquidità indotto dai subprime, ma più in generale dalle politiche di cartolarizzazione e di totale non-trasparenza nel mercato dei titoli derivati e dei "pacchetti" immessi sul mercato
- Merryl Lync e Morgan Stanley che denunciano perdite di decine di miliardi di dollari
- Il Governatore della Fed che insiste perché alla politica monetaria si affianchi anche un piano di alleggerimento fiscale pari almeno a 100 miliardi di dollari
- calo degli acquisti da parte dei consumatori nel periodo natalizio
a questo si accompagna una crescita del livello dei prezzi pari al 4,1%
- il prezzo del petrolio e le sue ricadute su tutte le altre merci
Io ritengo che, seguendo le analisi di Roudini, la crisi immobiliare sia appena agli inizi, che si stia manifestando con alcuni primi segni anche in Europa (Inghilterra tra le prime ad accorgersene insieme alla Spagna).
Su tutto grava il grande indebolimento del dollaro che determina l'estendersi della crisi al resto del mondo.
In questo quadro manca il problema del deficit commerciale Usa. Che, con un dollaro sempre più debole non riesce a "rimontare". Anche in questo caso si impongono alcune riflessioni. Per "chiudere" il deficit occorre che i consumatori americani consumino meno prodotti che vengono dall'estero oppure che siano vendute più merci americane all'estero. In entrambi i casi sembra che non vi siano delle grandi opportunità. Infatti, per consumare meno prodotti esteri o si diminuisce la domanda (che potrebbe avvenire con un calo netto dei consumi, il ché non sembra proprio la strada migliore per contrastare la crisi economica) oppure si sostituiscono prodotti americani a quelli importati. Quest'ultima possibilità sembra veramente "lunare": vorrebbe dire che le multinazionali americane, che negli ultimi vent'anni hanno delocalizzato le loro produzioni in Cina, in India, nella Malesia etc. ora ri-localizzano la produzione di nuovo sul suolo Usa. Impossibile. La delocalizzazione è ormai un dato strutturale, al massimo si potrà vedere una sostituzione delle imprese americane (ed europee) con l'espansione di imprese cinesi e indiane, per esempio, che ne prenderanno il posto.
Analogamente sembra difficile che gli Usa siano in grado di "chiudere" il deficit con un incremento delle loro vendite all'estero.
Se infatti andiamo a guardare la composizione del commercio estero Usa, vediamo che poche sono le voci attive:
- settore aerospaziale
- servizi alle TLC
- servizi finanziari e assicurativi
- intrattenimento (cinema e format TV e sport)
- settore educazione
Le altre voci sono quasi tutte in deficit.
In pratica la domanda è: cosa possono ragionevolmente vendere gli Usa al resto del mondo a parte quello che già vendono?
In realtà nessuno riesce ancora a capire cosa stia avvenendo, cioé quali siano le caratteristiche della trasformazione che sta svolgendosi sotto i nostri occhi.
Aggiungiamo anche l'entrata in azione dei Fondi Sovrani, detenuti dalle economie emergentie che stanno cominciando ad entrare a fare sa supporto a vecchie istituzioni occidentali come CityGroup etc.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento