mercoledì, aprile 29, 2009

E se l'economia della conoscenza....???

Brevi flash sull'economia della conoscenza. Tratti dal bellissimo libro "L'economia della conoscenza oltre il capitalismo" di Grazzini .
E se la componente crescente dell'economia della conoscenza, che induce fallimenti di mercato a raffica, a causa delle sue caratteristiche intrinseche di produrre beni non rivali, riproducibili all'infinito, a costi di riproduzione tendenti a zero, fondata sulla condivisione e non sulla competizione, sulla diffusione più ampia, moltiplicativa etc., fosse ormai entrata di prepotenza in rotta di collisione con l'economia "materiale"?
O meglio. Se fosse in antagonismo radicale con le modalità e le pretese di controllo che le gerarchie prodotte dagli assetti di gestione dell'economia, così come di recente l'abbiamo vista?
Potrebbe essere una fanfaluca primaverile, ma se la crisi finanziaria potesse essere letta come una "nemesi" della conoscenza (la facilità di riproduzione di algoritmi ultrasemplificati rispetto alla realtà complessa di cui cercavano di calcolare i rischi) verso la faciloneria dei vari consigli di amministrazione dei vari Fondi di investimento e di Pensione, etc.
Faciloneria avallata da una perversione a-scientifica della visione neo-classica dell'economia, che portava a sottovalutare la complessità del reale.
Insomma, se proprio la estrema difficoltà di calcolare i prezzi, sempre più indeterminati, nella fase di immissione di prodotti "fabbricati" nel nuovo contesto dove l'immateriale non è calcolabile, ed è sganciato dai costi di produzione, fosse stata la talpa che ha scavato sotto i consigli di amministrazione delle banche e delle assicurazioni?
E se...?

martedì, aprile 28, 2009

Riporto un articolo uscito su Affari e Finanza di Repubblica del 27 aprile 2009, che in linea di massima approvo:

FOCUS

Crisi, la frenata non è una ripresa

REF (WWW.REFONLINE.IT)

Nel corso delle ultime settimane si è aperto un dibattito fra quanti enfatizzano i primi segnali di stabilizzazione del ciclo economico e quanti sottolineano il mancato superamento degli elementi di fragilità strutturale alla base della crisi, e in particolare le incertezze sul fronte dei bilanci bancari. Gli indicatori congiunturali non aiutano però ancora a sposare una delle opzioni alternative; se è vero che in diversi casi si osservano miglioramenti di alcune variabili legate alla congiuntura – prezzi delle materie prime, quotazioni degli indici di Borsa, indicatori della fiducia delle imprese di alcuni paesi è anche chiaro che i rialzi seguono a una fase di contrazione molto pronunciata. Inoltre, i primi segnali di recupero paiono legati a provvedimenti di politica economica (ad esempio nel caso italiano gli incentivi sull’auto) e non possono ancora rappresentare l’inizio di una fase di inversione in grado di autosostenersi.
In particolare, gli indici di fiducia delle imprese di alcuni paesi stanno migliorando, ma sono ancora su livelli molto bassi. Il segnale che ne deriva è che ci stiamo al più portando verso una fase di stabilizzazione dei livelli produttivi, e questo è evidentemente insufficiente per potere parlare di avvio della ripresa. Questo vale anche perché veniamo da un fase di caduta della produzione talmente ampia da alterare il significato di un eventuale recupero congiunturale. Difatti, soprattutto per molti settori industriali, la dimensione delle perdite di output dell’ultima parte del 2008 e dei primi mesi del 2009 è stata di dimensioni eccezionali. Quindi, se anche la produzione si stabilizzasse nella seconda parte dell’anno vicino al minimo di inizio 2009 saremmo in presenza di una contrazione tale da generare nei prossimi mesi effetti pesanti sul sistema economico: perdite occupazionali, fallimenti di aziende, sofferenze bancarie. Difficile parlare di ripresa in queste condizioni.
Si comprende quindi come il fatto di passare da un crollo del prodotto verso una fase di stagnazione sia tutt’altro che una buona notizia. Una persistenza dei livelli produttivi in prossimità dei minimi toccati durante i mesi passati avvalorerebbe l’ipotesi che la caduta non è stata un fatto episodico, e che i tempi della ripresa sono molto lunghi. Solo un rapido rimbalzo che recuperi in breve almeno parte delle perdite di prodotto subite nei mesi passati, potrebbe indicarci che la fase più difficile sta terminando e che la ripresa ha avuto inizio, ma una tale circostanza non è al momento avvalorata da alcun indicatore. Il rischio è di andare incontro ad una fase di blanda ripresa sostenuta soltanto dagli impulsi della politica fiscale, e destinata ad arenarsi già nel 2010, non appena il sostegno dei bilanci pubblici alla domanda aggregata tenderà a smorzarsi.

Fedele de novellis
Alle considerazioni di ieri aggiungiamo:

- dall'intervista a Squinzi (Federchimica) si desume che c'è una crescita della domanda di etilene (che è un precursore di tutta la filiera della chimica), ma con l'annotazione che le imprese stanno recuperando le scorte

- che vede una ripresa lentissima per tutto il 2010 e una situazione tranquilla a partire dal 2011-2012 (per il suo settore)

- finché non ci sarà una ripresa della domanda degli Usa, sarà molto difficile ci sia una ripresa degna di tale nome

E qui entriamo nel centro della questione: i consumi. Come fanno a riprendere i consumi al ritmo forsennato degli anni precedenti se non si RADDRIZZA il grande disequilibrio dei redditi? cioé se le classi meno pagate e relativamente impoverite, che hanno vissuto di una componente del reddito fondato sulla carta (che presumibilmente non ci sarà più) a sostenere la propria domanda, non avranno più la ILLUSIONE DI RICCHEZZA precedente, da dove trarranno le risorse per CONTINUARE a consumare come PRIMA?

Non dimentichiamo che anche il PIL probabilmente è stato sopravvalutato (vedi Luciano Gallino, Op. cit. pag. 13), e che quindi si è trattato in gran parte di crescita NULLA.
Ciò che è cresciuto è stato sicuramente la QUOTA di PIL assegnato alla rendita e ai profitti, a livello mondiale e nei singoli stati.

Inoltre, e ancora più profondamente, se le imprese quotate nelle Borse mondiali, hanno "marciato" [perché spinte dai processi di finanziarizzazione dell'impresa, che richiedeva che tutti gli elementi componenti dell'impresa rispondessero a criteri di contrattualità, che fossero ciascuno valutati in confronto ad analoghi componenti appartenenti alla concorrenza in qualunque parte del mondo e "cassati e dismessi" se non erano a quel livello, anche se andavano a gonfie vele...perché dovevano obbedire ai criteri imperanti e richiesti dai Fondi Pensione e Istituzionali vari che ne detenevano ( e ne detengono le quote principali)] a ritmi pari al 15% anno tra profitti, dividenti distribuiti, aumento di valore di Borsa, quindi ben al di sopra del 2% in media di crescita del Pil, come faranno ora a "riprendersi" dal momento che la differenza tra i due rendimenti era ed è TUTTA FITTIZIA; di carta?

Questo vuole semplicemente sottolineare che le imprese si sono trasfromate in un mero nesso di contratti, completamente finanziarizzati (il caso Enron ne resta un emblema).

Per le ultime considerazioni si deve vedere il bellissimo libro, appena uscito, di Luciano Gallino "Con i soldi degli altri", per l'editore Einaudi.

Se non si hanno risposte a queste domande, temo che si parli di aria fritta.


lunedì, aprile 27, 2009

La crisi è finita?

Intervista a Paul Krugman su Enquire, 26.04.2009

Krugman: I'm in the camp that really worries about the L-shaped recession. We level off but we don't get the recovery. We hope it isn't, but it has all the markings of it. This looks like the kind of slump that has all the markings of where normal recovery forces are very, very weak.

It's hard to see where recovery comes from. Almost always the way a country recovers from a financial crisis is with an export boom. The problem is that we have a global crisis this time. So who are we going to export to, unless we find another planet to take our stuff?

Intervista a Nuriel Roudini su Washington Post, 27.04.2009

What is going to fuel the next growth cycle?

That is a difficult question because the periods of high growth in the United States in the last 25 years have been characterized by an asset and credit bubble. The real estate bubble of the '80s ended up with pain in the [savings-and-loan] crisis. Then came the tech bubble, which ended up in another crash and led to a recession. And now we have this more generalized housing and credit bubble, which ended up in a big disaster. . . . We have to switch our capital into things that are more productive and more stable in terms of social growth. That is going to be a challenge. And the potential growth rate might fall to a much lower rate.

Sempre Krugman: chiude il suo articolo su NYT del 27 aprile 2009 in questo modo:

Or maybe not. There’s a palpable sense in the financial press that the storm has passed: stocks are up, the economy’s nose-dive may be leveling off, and the Obama administration will probably let the bankers off with nothing more than a few stern speeches. Rightly or wrongly, the bankers seem to believe that a return to business as usual is just around the corner.

We can only hope that our leaders prove them wrong, and carry through with real reform. In 2008, overpaid bankers taking big risks with other people’s money brought the world economy to its knees. The last thing we need is to give them a chance to do it all over again.

L'impressione infatti è che non sia cambiato quasi nulla nel comportamento del mondo finanziario, che stia aspettando di ricominciare come prima, che in realtà continui a scambiarsi derivati e altri titoli ugualmente pericolosi alla stessa maniera di un anno fa.

Inoltre sarebbe da considerare che la Cina sta prendendo posizione sul mercato delle materie prime, approfittando di una fase di prezzi molto bassi, che in una qualche maniera gli stock di magazzino dovevano essere ricostruiti, che il mercato dell'auto sia stato tenuto in piedi dai soldi dei contribuenti: difficile quindi pensare che ci possa essere all'orizzonte chissà quale ripresa a breve.

E il dubbio cresce ancora di più se si osserva il rialzare della testa proprio dei banchieri e delle compagnie di assicurazione, che sono i principali responsabilid del disastro finanziario mondiale, dei fondamentalisti del mercato che si autoregola in breve tempo, etc. etc.

Temo che i tempi saranno ancora più duri, altro che tempesta finita!


giovedì, aprile 23, 2009

Dal Blog di Aspo Italia:

"c'è un detto americano: se fa qua-qua come un'anatra, nuota come un'anatra, cammina come un'anatra, allora è molto probabile che sia un'anatra".
Si riferisce al "Picco" del petrolio, anzi di tutti i "liquidi" ricavati anche dalle tar sands dagli Heavy oil etc.


Come dire: i fattori della crisi più grave dal 1929 sono ancora tutti presenti.

mercoledì, aprile 22, 2009

Siamo sicuri della fine della crisi?

Sono molto perplesso dalle dichiarazioni sull'atterragio della navicella crisi. Ha raggiunto il fondo: lo dicono Bernanke, Marcegaglia e soprattutto il famoso Tremonti che non l'aveva vista arrivare, anzi provava a introdurre quella buffonata della Robin Hood tax, qualcuno ricorda?
Ma almeno due elementi dovrebbero indurre a molta circospezione:
- i bilanci delle banche americane sono stati costruiti permettendo l'"autovalutazione" (non so come altrimenti chiamarla" dei titoli in possesso
- la crisi energetica è impavida sempre presente
- il settore housing, negli Usa, resta in calo continuo (vedi l'articolo appena uscito sul NYT, anzi si ta aggiungendo anche il precipitoso crollo (-30%) dei valori immobiliari del settore commerciale
- soprattutto, tutte le condizioni reali che hanno montato gli squilibri di redditto alla base della crisi (che non è solo un problema di bilanci bancari e di finanza galeotta), sono ancora tutti presenti
- anzi, sono accentuati: da dove partiranno i consumi Usa, per esempio, se i cittadini Usa dovranno cominciare a fare a meno delle carte di credito?
- ultima notizia: il disavanzo della bilancia commerciale giapponese, il primo nella sua lunga storia di paese esportatore: e anche lì cominciano a dire che deve partire la domanda interna.
- ma la domanda interna non la possono "tirare" solo coloro che già hanno i redditi più alti: non funziona.

E allorà?

mercoledì, aprile 01, 2009

Siamo in una situazione di cambio strutturale, dove i parametri e le concettualizzazioni usate per le analisi precedenti, non contano più di tanto.
Ritengo infatti che fare “previsioni”, forecast, usando lo schema per cui storicamente a partire dalla fine della seconda guerra mondiale ci sono state recessioni che hanno avuto durata dai sette ai 18 mesi, non valga molto: come diceva Hume: “Misurare il futuro guardando a quanto avvenuto in passato non è un procedimento valido”. Analogamente si può anche riferirsi ai simpatici “Cigni neri”: il fatto di aver fin qui visto solo cigni bianchi non autorizza ad escludere la presenza di quelli neri.
Così, anche cercare di vedere nell’ormai prosciugamente delle scorte delle imprese, nel crescente invecchiamento dei macchinari, degli impianti e degli stabilimenti delle imprese, la sicura spinta per la ripresa tra sei/dodici mesi, sembra più un “mantra” che una realtà obiettiva.
Non dico che sia impossibile, ma penso che nei momenti di cambio di percorso delle variabili sia anche compresa una loro ridefinizione che abbia un fondamento empirico. Finché non ci sono evidenze su questo aspetto, si parla di aria fritta.

Quindi, e occorrerebbe anche andare a rileggersi alcune delle ultime lezioni di Paolo Sylos-Labini

A proposito del "nuovo"

“The US banking system faces losses of over $3,000bn. Japan is in a depression. China is headed for zero growth. Some still hope that urgent surgery can restore the status quo. But more feel that we are at one of those rare points of inflection when nothing is the same again.”
Geoff Mulgan, http://www.prospect-magazine.co.uk/article_details.php?id=10680

“…è ormai chiaro che dopo la crisi in atto l’industria manifatturiera e i suoi prodotti non saranno mai più quelli di prima. … l’idea che un paese, una regione, una città possano vivere bene soltanto promuovendo il turismo, le visite ai musei, il commercio via internet o i convegni internazionali, o magari soltanto le operazioni finanziarie, lasciando ai cinesi e indiani la fabbricazione di tutti i beni materiali di cui le persone hanno bisogno e utilizzano tutti i giorni, è stata un’illusione…”.
Luciano Gallino, La Repubblica, 1 aprile 2009.

Some claim that infrastructure spending creates a big Keynesian “multiplier,” a bigger increase in incomes than the initial spending (estimates range up to about 1.5 times the initial increase in spending). But infrastructure spending is usually slow – and almost always driven heavily by parochial political considerations. Japan’s annual 15-20 trillion yen infrastructure-intensive stimulus didn’t prevent its lost decade.

“…l’idea che, dopo gli interventi di sostegno al sistema bancario in essere, con l’aggiunta di un poco di trasparenza, tutto ritorni come prima, si riparta con i prezzi delle case, la finanza in sostituzione della spesa pubblica etc….è priva di ogni senso”

Pensare in questo modo significa semplicemente che si spera che le iniziative di stampo locale-nazionale siano in grado di sostituire reali politiche keynesiane di stampo globale è solo una pia illusione.

Così come lo sono tutte le iniziative, dai piani casa agli investimenti in infrastrutture, che si spera siano sostitutive di nuove produzioni e nuovi sistemi di produzione.

Per ora siamo ancora in alto mare.