venerdì, novembre 21, 2008

Senza intervento politico il clima....

Segnalo una bella ricerca sugli effetti del cambiamento climatico nel caso di insistente e continuativa mancanza di azione da parte della politica:
il sito è quello di VoxEu

Ultime da Roudini

On Nouriel Roubini's Global EconoMonitor, Nouriel explains why the U.S. economic and financial crises reinforce each other and have yet to bottom. He illustrates several persistent and structural risks for U.S. consumer spending in “20 Reasons Why the U.S. Consumer is Capitulating, thus Triggering the Worst U.S. Recession in Decades“. As consumption provides 71% of U.S. GDP, a consumer recession could result in the worst recession since World War II, starting with a minimum 5% GDP contraction in Q4 2008 and ending at least 3 times as long and deep as the previous two recessions. To make matters worse, the market’s loss of confidence in policymakers despite aggressive policy actions will keep financial losses mounting. To pull out of this mess, Nouriel calls for committing the entirety of TARP to recapitalizing financial firms in “Transcript of Talk at AEI seminar on the "The Deflating Mortgage and Housing Bubble, Part IV: Where Is the Bottom?”

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giovedì, novembre 20, 2008

Giusto per non dimenticare

In questo momento nel Governo e in posizioni di grande prestigio e potere ci sono persone già appartenenti alla P2:
Berlusconi
Fabrizio Cicchitto
oltre a tanti altri...

Guardate Travaglio, in una tavola rotonda a Micromega:



Buona visione.

Tre commenti a crisi che sottolineano quanto postato da me inprecedenza

Benetazzo su "Se fallisce la General Motors"



Ma ritengo sia da meditare anche questo testo da VoxEu di Nicholas Bloom:

Vecchi appunti del mese di giugno 2008

Si tratta di cose risalenti a sei mesi fa ma ancora attuali.


I passaggi strutturali del nuovo assetto geoeconomico e le sue sfide

Crisi: i suoi fattori

Il passaggio determinante ad un altro assetto mondiale, o meglio, ad un altro percorso di sviluppo evolutivo delle relazioni geoeconomiche e sociali mondiali


L’energia: ogni “svolta” storica è sempre stata segnata da mutamenti strutturali nell’uso delle diverse fonti energetiche [forza umana, animale, acqua, fuoco-legna-disboscamenti, vento, fino ai sempre più veloci susseguirsi dell’uso delle fonti di energia fossili (torba, carbone, petrolio, gas) etc.]


Centralizzazione contro decentralizzazione sul territorio


Modularizzazione produttiva spinta al massimo1.

Questo esige però una massa di trasporti enorme e particolarmente articolata: la cosa pone problemi, specie in una fase di alti costi energetici per il trasporto.


Si sta accentuando la polarizzazione tra produzioni modularizzate e con accesso al mercato di fornitura globale e quelle “locali”.

Il fatto è degno di attenzione anche perché in Italia il settore della nostra meccanica si è integrato al livello internazionale più elevato, con triangolazioni Germania-Cina-Paesi delle’Est, e cresce trainando l’export italiano, mentre restano al palo le produzioni sempre più legate al vecchio “made in Italy” e sempre più “locali” come fornitura e tecnologia.

In questo senso, il discorso di Alberto sulla “biodiversità dei territori” da mettere al centro della riflessione, irrigandola con relazioni esterne e facendone emergere le capacità di integrazione, è veramente strategico oltre a fornire una misura di lettura delle trasformazioni in atto a livello geoeconomico mondiale. Non è un caso che sia stata proprio la grande massa dei “numeri” della Cina a far emergere le sue potenzialità “territoriali”, comprese le diverse “vocazioni” produttive nascoste.2


In questo quadro la crisi energetica si accompagna alla crisi da materie prime a cui ora si aggiunge quella di tipo alimentare.

Dire che ci sono sottostanti dei processi speculativi in realtà non vuole dire nulla, se non che questa è la prova del livello di integrazione e di interdipendenza dei fenomeni sociali ed economici, territoriali e geopolitica, che stanno venendo al pettine.



La finanziarizzazione, il market value, i nuovi (ormai vecchi) modelli di gestione del rischio-credito, la cosiddetta Fabbrica del Fee,


Sembra che un altro metro di interpretazione possa essere il decentramento contro la centralizzazione, o meglio, un nuovo mix tra queste due forze e schemi.

Si potrebbe infatti applicare sia all’energia, all’agricoltura (rimettendo, sia pure con forme nuove, al centro la produzione di qualità nei paesi travolti dalla centralizazione delle produzioni e dall’uniformità delle colture, richiamando in auge la biodiversità come ricchezza economica contro l’appiattimento centralizzato e impoverito delle produzione a tutto grano, tutto mais, tutto caffè, etc.), fino a sistemi di riciclaggio di tutte principali materie prime (rame, oro, platico, alluminio, etc.). In Giappone sono già cominciate le operazioni di riciclaggio di alcuni materiali (oro, rame e platino) dai rifiuti elettronici. Lo stesso sta cominciando a fare anche la Cina.


Questo non va a discapito, anzi, dell’utilizzo di nuovi materiali quali quelli che possono venire dalla ricerca nano-tecnologica.


Organizzazione dei servizi e delle imprese basate su una burocrazia “leggera”.




Cina:

la tecnologia. Come cambia, se cambia, il modello di produzione (minore composizione tecnica del capitale, meno capitale più forza lavoro qualificata3)


non dimentichiamo, come sottolinea Arrighi, che ne fa la base del suo ragionamento, che il concetto di impresa a rete, che sembrava di origine giapponese, in realtà risale alla Cina dei Song e alla “diaspora” cinese nell’area Indonesia, Malesia, etc. che governavano i flussi commerciali di tutta l’area proprio con strutture ramificate.


Al tempo stesso la Cina sta acquisendo tecnologia in tutti i modi4, soprattutto “trainata” dall’espansione commerciale più che dalla ricerca tecnico scientifica stessa, anche se sta comunque rafforzando l’area della ricerca di base, dalle biotecnologie alle ricerche spaziali.


Ma soprattutto si avrebbe una fortissima applicazione di “ricerca” tramite l’imitazione più spinta, fino alla pirateria elevata al cubo, di tecnologie intermedie, del tipo classicamente “incrementale”.

Questo denota comunque una capacità di “conoscenza tacita” di dimensioni estremamente elevate, se in due soli decenni imprese nate praticamente dal nulla5 (le famose “imprese di villaggio”), sono in grado di produrre processi di copiatura così spinti.





1 Vedere il testo di Alberto sul Polo Tecnologico di Bologna, che affronta questo tema.

2 Ne è un segno lo stupore con cui Deng Hsiao Ping e la dirigenza cinese accolse la nascita spontanea proprio delle imprese di villaggio e di contea. Anche Ted Fishman, “Cina Spa”, pg. 80 sui meccanismi iniziali (imitativi e di memoria) dello sviluppo cinese.


3 Indicato da Arrighi, in “Smith in Cina”, che lo riprende da un articolo del Boston Consulting Group (Hout & Lebreton, “The real contest between America and China”, 2003), dove si sostiene che, a differenza di quanto avvenuto con il Giappone una generazione addietro, che aveva re-inventato la manifattura attraverso il controllo di qualità e il continuo incremento migliorativo, la Cina sta de-inventando la manifattura attraverso la diminuzione di capitale investito e la re-introduzione di profili qualificati di forza-lavoro. Il risultato sarebbe maggiore capacità manuale e artigianale, una minore complessità nei processi di produzione e spesso un tempo minore dal design alla produzione.

4 Vedere James Kynge, “Frullati dalla Cina”, 2007, Newton Compton.

5 Veder Hutton sull’argomento

1




C'è un altro argomento che si intreccia pericolosamente con la crisi del petrolio, il mutamento climatico, i processi di urbanizzazione, l'uso sempre più "intensivo" di acqua richiesto dalle tecnologie dell'agricoltura monocolturale e OGM.

Il tema è l'acqua e la sua scarsità sempre più evidente (vedi anche l'articolo di Rampini sulla Cina in Repubblica del 19.06.2008).



lunedì, novembre 17, 2008

Ciò che da mesi avevo anticipato anche su questo mio spazio è arrivato. La crisi più profonda dal 1929. I meccanismi su cui si è innestata sono ormai abbastanza noti e precisamente individuati, anche nel mio post precedente.
Ora siamo alla fase del "...a crisi iniziata" e come uscirne.
Le elzioni alla presidenza degli Stati Uniti di Barak Obama mi fa tirare un sospiro di sollievo, coaì come la presenza di Krugman e di Stiglitz nel suo "Dream Team".
Soprattutto Krugman si è affrattato a scrivere che in questa crisi occorre essere più coraggiosi rispetto a quanto invece viene già avanzato dai settori (sempre loro) conservatori. Questi già accusano la politica del New Deal (come peraltro hanno fatto da decenni) di essere stata una causa dell'accelerazione invece che la cura della crisi degli anni '30 del secolo scorso.
Krgugman invece dimostra che:

a) la curva dei disoccupati era già in fase di ritracciamento prima dell'inizio della II Guerra Mondiale

b) che anzi fu la paura di Roosevelt che rischiò di annacquare i risultati ottenuti

c) che è invece ora di avere coraggio e lanciare un grande piano di investimenti pubblici in Welfare, istruzione pubblica, nuove tecnologie da fonti rinnovabili, una nuova politica industriale (vedi ad esempio gli eventuali aiuti all'industria automobilistica) che dia spazio a nuovio prodotti innovativi (cioé nuovi motori e nuove automobili, per esempio)

La riunione del G20 non ha prodotto un granché, nonostante i comunicati roboanti del nostro "malato di immortalità" presidente del Consiglio dei Ministri.
Inoltre il piano da 80 miliardi di euro per rilanciare l'Italia è sostanzialmente una bufala:
si tratta di soldi già stanziati (Fondi Strutturali Europei), speranze dai soliti Benetton delle Autostrade (che già non investono di loro, figuriamoci se mettono mano al portafoglio oggi), come ben illustrato da Tito Boeri sulla Repubblica di oggi, etc.

Il dubbio generale riguarda:

1) sembra difficile che la crisi immobiliare si riassorba a breve. In genere è un settore che ha una grande inerzia (ha infatti impiegato almeno due anni perché la sua crisi diventasse di evidenza pubblica: è dalla fine del 2004 che si avvertono i primi segni di degenerazione del settore...). C'è infatti chi parla di almeno dieci se non quindici anni. D'altra parte non si capisce CHI dovrebbe essere il soggetto che acquista le case, dal momento che sono rimasti sul mercato solo quelli più deboli (e altrimenti come sarebbe nato il caso subprime) e la classe benestante non può acquistare in eterno case a prezzi comunque da capigiro.

2) la mia personale valutazione è che gli immobili siano sopravvalutati di almeno il 40 se non 50% e finché non si riassorbirà il momento inflazionistico che li ha spinti all'eccesso i prezzi sono destinati a clare fino a questa quota. Ma lentamente, per almeno altri 10 anni.

3) la media dei salari è rimasta esageratamente bassa rispetto alla quota dei profitti sul PIL che ha caratterizzato gli ultimi due decenni, e la macchinetta si è rotta

4) anche perché sognare e spingere le classi medie a gettare soldi in Fondi pensionistici, assicurazioni sanitarie fasulle, idealizzazioni di un0istruzione privata di eccellenza, ha dimostrato di essere un delirio totale: poteva produrre solo carta e finanza di carta e basta.

5) questo appena scritto è probabilmente uno dei motivi di fondo della crisi: salari troppo bassi, che avrebbero dovuto essere sostituiti da creazione di ricchezza da Fondi su Asset finanziari e proprietari che invece non potevano crescere sempre al di sopra della produttività media dell'intero sistema produttivo. Gli americani (ma a certi livelli è avvenuto anche in Europa e in Italia) si indebitavano non già per consumare a qualsiasi costo, ma per sostenere le spese per una sanità privata demente e inefficiente (mantenendo ben 2 milioni di impiegati delle assicurazioni che devono stare dietro alle pratiche sanitarie (il dato è di Paul Krugman)...chissà se ci sono i fannulloni anche là....), ai costi di un sistema di istruzione che privilegia la eccellenza di cinque università e lascia andare tutte le altre...finché la forbice salariale (anche per i laureati) impedisce il rimborso dei debiti contratti per fare l'università. Per comprare auto a costi elevatissimi e con consumi dementi, peraltro per poter andare al lavoro da luoghi sempre più distanti, in un percorso di insostenibilità che si sta infatti accartocciando si se stesso.