venerdì, ottobre 09, 2009

Moda Giornali Fotografi e Anoressia

Tra magrezza e stupidità visiva: ovvero l’occhio ipocrita e quello stravolto.


Mando queste poche righe perché sono sempre più allibito davanti ai ricorrenti articoli e inchieste sull’anoressia, e le dichiarazioni dei vari “stilisti” (a questo punto sarebbe meglio chiamarli “stecchini-listi”) che “deprecano”, “raccolgono l’invito”, si “fanno promotori” di un’immagine meno devastante dei corpi femminili impegnati nelle sfilate e nelle foto di moda. A questi si accompagnano sempre le dichiarazioni dei fotografi, quelle dei giornalisti e degli/delle inviate di moda che “si meravigliano”, “si indignano”, “si intristiscono”, etc. davanti alle stesse immagini.

Poi…poi arrivano tutti i giorni immagini sempre più evanescenti di corpi che svaniscono nell’etereo vuoto della carta stampata o dello spazio chiuso della televisione.

E mi chiedo se qualcuno “veda” e “si accorga” di qualcosa oppure ormai magrezza esasperata e stupidità visiva vadano perfettamente d’accordo, al punto che l’una scivola svanendo nell’altra!

Senza fare molti esempi, perché ormai sprizzano e spruzzano da ogni dove, basta guardare a pagina 46 del quotidiano La Repubblica, a fianco dell’articolo dell’inviata sig.ra Laura Asnaghi, dove compaiono alcune foto di modelle i cui corpi sono un’evidente dimostrazione di quanto detto sopra: una magrezza esasperata al punto da “incurvare” le stesse gambe delle ragazze, ormai solo “ossa femorali” e basta. E’ impressionante e sconvolgente: ma qualcuno vede qualcosa, oppure al di là delle cinture e orpelli vari gli occhi non sono più in grado di percepire nulla?

Auguri a tutti/e e tenetevi ben stretto il vostro mondo “stecchino”.

mercoledì, settembre 30, 2009

Due parole su politica e la UE

Non basta dichiarare di essere in Europa per starci realmente, con i piedi ben piantati per terra. Occorre soprattutto che la testa elabori progettualità adeguata, di scala europea. Non solo strade, aeroporti e fiere, ma cooperazioni in cui imprese e capitale umano, formazione, concrete pratiche di ibridazione sociale circolino, si integrino, si aprano a reale dimensione internazionale. Chiusi in un paese solo, per non dire in una regione sola, si fanno unicamente politiche asfittiche e di corto respiro.

È quindi in questo senso che le proposte di un progetto cluster per l’automazione e l’innovazione tecnologica e la molteplicità di rami di industria connessi, la proposta di intervento su ambiente in una dimensione di compenetrazione/connessione di reti ecologiche con agricoltura di qualità, la preminenza quindi accordata al tema fondamentale della bio-diversità, la qualità dell’insediato attraverso il rallentamento del consumo del suolo e del fenomeno dello sprawl, possono essere inserite a questo livello di respiro europeo.

Si possono ritenere queste proposte come realmente proposte politiche, insieme ad altre cui stiamo lavorando, perché la mia sensazione (che poi è quella riportata da Limes nell’ultimo numero dedicato a “La Cina “spacca” l’occidente”), è che il dialogo diretto Cina – Usa, bypassata l’Europa con estrema facilità, sia il segno del fallimento attuale della politica europea. Le chiusure locali e nazionali hanno impedito all’Europa di affrontare in modo deciso la crisi attuale.
Mentre il resto del mondo, Usa, Cina, Giappone, paesi emergenti, si aprono e cercano di sperimentare nuovi equilibri, l’Europa si chiude tra scelte neo-mercantilistiche della Germania (limitata crescita interna trainata unicamente dalle esportazioni), “padroni a casa nostra” e niente politica economica anti-ciclica (vedi l’articolo “Aspettando la prima decisione di finanza pubblica” di Tito Boeri su www.lavoce.info) in Italia, solo per fare due esempi.

Possiamo anche dire che il risultato di tutto questo sia lo spostamento dell’elettorato europeo a destra, in controtendenza con quanto succede in altre aree del mondo (l’elezione di Obama, le elezioni in Giappone, etc.)?

Queste mi sembrano alcune riflessioni che spostano la discussione su terreni concreti e reali, piuttosto che stare a cincischiare con le elucubrazioni sulle alleanze, il cade-non cade del premier, il “compagno” Fini, i teodem, il più o meno “grande centro”, e chi più ne ha più ne metta.

giovedì, agosto 06, 2009

MEMENTO

alcuni..... esseri umani perdono la salute per fare soldi, e poi perdono i soldi per tentare di recuperare la salute. Pensano tanto ansiosamente al futuro dimenticando di vivere il presente. Così facendo, non riescono a vivere né il presente né il futuro; vivono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto. ( Dalai Lama )



martedì, luglio 28, 2009

Il commercio mondiale sembra aver rallentato la caduta ma...

Commento dell'Economist:

sembra che il rallentamento della caduta degli scambi mondiali sia dovuta al ricostituirsi delle scorte (in diminuzione comunque) da parte dei retailer.
E questo non è un segno di ripresa, inoltre da dove può venire la ripresa?
Lasciamo direttamente la parola all'Economist:
"But for a sustainable recovery in trade, global demand has to recover on its own steam. It is not clear where demand might come from. American consumers have lost much of their astonishing appetite for goods ranging from clothes to iPods to computers. American households are now saving 5% of their incomes, up from essentially nothing a year ago. Unemployment in America and elsewhere will continue to rise. The International Labour Organisation estimates that the global jobless tally will increase by between 21m and 50m this year.

More people out of work will mean a further fall in global demand. China's boom (GDP grew by 7.9% in the second quarter) is fuelled by government investment and by the stimulus, not a rise in private consumption. Nor are other consumers stepping in. Without a move towards more private consumption in countries such as Germany and China, the world is in for a prolonged period of slow growth and correspondingly sluggish trade."


venerdì, luglio 03, 2009

Saluto al Sole

Riporto un commento dall'ottimo blog icebergfinanza del 3 luglio 2009

Tornando alla Yelen .......

We have already seen a noticeable slowdown in wage growth and reports of wage cuts have become increasingly prevalent—a sign of the sacrifices that some workers are making to keep their employers afloat and preserve their jobs. If the economy fails to recover soon, it is conceivable that this very low inflation could turn into outright deflation. Worse still, if deflation were to intensify, we could find ourselves in a devastating spiral in which prices fall at an ever-faster pace and economic activity sinks more and more. But I don't view this as likely.

Certo qui si continuano a ripetere le solite cose, ma questo è il punto cruciale di questa crisi, ciò che può aiutare a comprendere cosa ci si può attendere nei prossimi anni e non nei prossimi mesi.

Se si intensifica la deflazione, potremmo assistere ad una spirale devastante, con un ritmo nel calo dei prezzi sempre più veloce e di conseguenza con la inevitabile ripercussione sull'attività economica. Qui non si tratta di trovare antidoti ad una malattia, si tratta solo di comprendere che questa malattia deve fare il suo corso, perchè qualche imbecille l'ha provocata, riempiendo l'organismo di zuccheri e grassi ( DEBITO ) sino al punto di scatenare una combinazione di obesità e diabete che potrà essere curata solo con il tempo.

La Yellen tuttavia ritiene che ciò non sia probabile, il che dimostra l'incrollabile fede nelle misure della Fed, delle Banche centrali, degli stimoli, dell'intervento governativo, la deflazione non sarà tollerata, mentre l'inflazione chissà!

Concludo condividendo il pensiero del professor Hamilton di Econbrowser . il quale dice dice che l'economia sta migliorando solo perchè tutti pensano che questo accada, ma nella realtà ben pochi indicatori reali vanno oltre la speranza,


Indicator

Contribution


stock prices

0.34

yield spread

0.30

consumer expectations

0.23

vendor performance

0.21

unemployment claims

0.06

new orders (consumer goods)

0.06

building permits

0.02

M2

-0.01

new orders (capital goods)

-0.02

average workweek

-0.04



Total

1.16

Per esempio nell'ultimo Conference Board Leading Economic Index i tre maggiori contributi al dato complessivo positivo vengono dall'aumento dei mercati azionari, dallo spread tra i titoli di stato a dieci anni e il tasso Fed Funds Rate overnight e le aspettative dei consumatori che come abbiamo visto dagli ultimi dati sono di nuovo peggiorate in seguito alla situazione del mercato occupazionale.

In passato l'ho utilizzato per evidenziare la recessione in arrivo, ma oggi è diverso, questa è la madre di tutte le crisi, non bastano indicatori basati sulla speranza!

Tutti indicatori basati sulla speranza di una ripresa e su nessun dato reale, se non un minor ritmo di contrazione dell'economia.




giovedì, luglio 02, 2009

Prima lezione di Yoga per super principianti

giovedì, maggio 28, 2009

Nulla sembra ancora cambiato nel comportamento delle strutture finanziarie

Sembra che poco sia cambiato nel comportamento delle strutture finanziarie. Uno degli indicatori di questa situazione potrebbe essere proprio la proposta delle grandi banche Usa di cominciare a restituire i soldi ricevuti per sostenere la loro solvibilità. Questo passo non sarebbe motivato da una situazione risanata, ma dalla volontà di avere mani libere per ricominciare a dare i soliti bonus ai manager per incentivarli ad operare di nuovo come in precedenza: leva finanziaria su prodotti che possono riportare profitti a breve (futures, derivati vari, etc.) ma nulla verso le imprese e il sistema dell'economia reale.

Sembra quindi che il sistema sia proprio incapace di cambiare rotta. D'altra parte come sottolineato oggi da un articolo di Brooksley Born, i personaggi che a suo tempo (1999) si opposero fieramente ad una regolamentazione del mercato dei derivati, furono proprio Greenspan, Summers, Rubin...(e purtroppo gli ultimi due sono nello staff di Obama...).

Un esempio di come sia ripartito sotto le stesse insegne il circo Barnum di sempre è dato dal prezzo del petrolio e dai futures sul gas ad un anno:

- il petrolio cresce da 38 dollari a 60 in presenza di:

- calo dei consumi elettrici del 3,5% (5% a livello dei paesi industrializzati): non è mai successo dalla fine della II Guerra Mondiale, neanche all'epoca delle due crisi petrolifere (1973 e 1979)

- tanks ricolmi di petrolio, affittati e "parcheggiati" in attesa perché non sanno più dove metterlo

- riserve strategiche di petrolio e di prodotti raffinati a livelli mai visti

Questo cosa significa? Quantomeno che, se l'effetto di amplificazione non viene "limato", non appena ci saranno segnali veri di ripresa, il prezzo del petrolio e delle derrate alimentari, saranno già enormemente elevati (anche in presenza di una scarsità reale, e di investimenti sui nuovi giacimenti in calo rispetto al 2008 di 100 miliardi di dollari) e ripartirà inflazione, tassi alti, e la ripresa richinerà la testa di nuovo.
Uno "Stop and Go" che continuerà a lungo.

Nel frattempo le speranze di un processo di sostituzione di energie da fonti rinnovabili può diventare evanescente davanti alle rigidità degli interessi contrari, alla diminuzione degli investimenti già pari nel settore ad un - 38% rispetto al 2008.

Insomma, il passaggio ad un possibile nuovo assetto evolutivo dell'economia e della società sembra in fase di blocco, accentuando così i rischi di collassi epocali sociali ed umani.

Tra l'altro, i prezzi delle case sono di nuovo crollati in Usa così come le nuove costruzioni.
A questo proposito, c'è un bel libro di Orlean "DE L’EUPHORIE À LA PANIQUE :
PENSER LA CRISE FINANCIÈRE" in cui viene analizzata la cecità strutturale della finanza, e dei suoi assoluti fondamenti NON SCIENTIFICI, ma solo imitativi etc. davanti alla nascita e crescita delle bolle. Di quella immobiliare in primo luogo: 30 trilioni di dollari ne è stata la dimensione, pari al PIL dei paesi industrializzati.

Anche in Italia forse siamo arrivati alla fine di un ciclo lungo, relativo al settore immobiliare:
- sta finendo il processo di diminuzione del numro di appartenenti a nuclei famigliari: difficile andare sotto
- quindi sta per diminuire la richiesta di ulteriori case abitative
- avendo sempre meno figli, diminuisce anche la necessità di avere ambienti più grandi
- pare che negli ultimi 10 anni si siano costruito qualcosa come 22 metri cubi all'anno per persona nel nostro paese: una mostruosità (dati Istat recentissimi)
- l'arrivo di nuovi immigrati non può, ancora per un decennio almeno, sostenere la richiesta di acquisto di nuove case
- è anche probabile che l'arrivo di immigrati non sia in grado di sostituire la diminuzione della popolazione dovuta al raggiungimento del punto in cui il numero elevato e crescente di popolazione anziana comincerà a diminuire velocemente per l'accumulo dei decessi.



Forse il ciclo lungo cominciato

lunedì, maggio 11, 2009

Libri letti di recente

Libri da leggere e da tenere in memoria:

Grazzini, "L'economia della conoscenza", Codici, 2009
Luciano Gallino, "Con i soldi degli altri, Einaudi, 2009
Luigi Pasinetti, "Keynes and the Cambridge Keynesians", 2009
Hyman Minsky, "Stabilizing an unstable economy", MC Graw Hill, 2009
Paolo Sylos Labini, "Lezioni di economia politica", 1987
Bowles, "Microeconomia", 2008

I primi tre, uniti ad altri che ho già presentato in precedenza, costituiscono una buona base di riflessione.

La luce in fondo la tunnel?

Ci sono alcune annotazioni da rilevare:

- il Presidente Usa ha dichiarato (La Repubblica 8 maggio 2009) che: "Occorre dire chiaramente che in questi ultimi 15 anni la crescita del Pil Usa è stata mistificata per almeno la metà dall'economia fasulla di Wall Streeet....che d'ora in poi non sarà più possibile che l'economia Usa si basi per la sua metà su Wall Street...d'ora in poi i ragazzi con il 'bernoccolo' della matematica dovranno iscriversi a ingegneria e in altre materie scientifiche invece di frequentare Business School per fare poi i trader a Wall Street....". Che è come dire: "smettete di studiare bufale pseudo-scientifiche come quelle sparse in questi anni dai banchieri di WallaStreet e dalle teorie sui mercati perfetti e sulle aspettative razionali che poggiano sul nulla, e mettetevi a lavorare su una vera economia della conoscenza.

- Paul Krugman e Stiglitz, sempre su La Repubblica del 10.5.2009, manifestano i loro dubbi sulla reale ripresa del settore bancario, anzi, dopo aver rilevato che lo stress-test in realtà è stato abbastanza accomodato, dopo aver riportato che le banche non hanno ancora ricominciato a fornire crediti all'economia reale (analogo ragionamento è oggi su Affari e Finanza da parte di Marcello De Cecco), che vengono forniti solo dalla Fed e da Fanny e Freddy Mac per i mutui, ma possono rilevarsi insufficienti), che la raccolta bancaria per ora è ancora a costi molto elevati e SOLO a BREVISSIMO TERMINE, niente obbligazioni niente azioni da parte delle banche; esprimono il timore che tutto possa risolversi in un niente.
Cioé che le banche sperino di aver passato la bufera e che possano ricominciare a fare le stesse cose di prima.
Esemplare, da questo punto di vista, la dichiarazione dell'avv. Cohen (riportata con allarme da Krugman), che doveva diventare sottosegretario al Tesoro ma ha declinato l'offerta, che è stato più volte indicato come "la vera anima dietro Wall Street": "non sono convinto che ci fosse qualcosa di sbagliato nel sistema"!!!!
Krugman: "Pertanto, se anche i banchieri riterranno "rassicuranti" i risultati dello stress-test, noi tutti dovremmo essere molto, molto preoccupati".

A questo punto la domanda ritorna d'obbligo: "se non ci sarà più l'economia di carta straccia come in precedenza, da dove verrà una crescita superiore al 1,5%?
e se invece riparte tutto, per poco tempo naturalmente, l'euforia precedente, come farà a sostenersi senza riaffondare di nuovo e in maniera ancora più grave?

Provo a formulare una piccola ipotesi, giusto per avere qualcosa da mettere sotto prova nei prossimi giorni: se l'espansione della finanza d'accatto, basata sul vuoto di teorie sballate, fosse stato il risultato incoerente di una incongruenza annidata nel funzionamento ed emersione dell'economia della conoscenza?
Che sarebbe così entrata in rotta di collisione proprio con un sistema finanziario che si è espanso in maniera illimitata e acritica senza averne né le gambe, nè le possibilità concrete, né la forza, né l'intelligenza di capire che in realtà la condivisione del rischio ad libitum era sì l'illusione della globalizzazione, ma anche il suo limite strutturale?

Se così fosse, saremmo allora semplicemente davanti ad un ulteriore scivolone di questa manica di balordi dalle "menti rotte" e stravolte.

Come dice Ilvo Diamanti nel suo articolo di ieri su "Sicurezza e paura":
"Che l'angoscia sia con voi"!


mercoledì, aprile 29, 2009

E se l'economia della conoscenza....???

Brevi flash sull'economia della conoscenza. Tratti dal bellissimo libro "L'economia della conoscenza oltre il capitalismo" di Grazzini .
E se la componente crescente dell'economia della conoscenza, che induce fallimenti di mercato a raffica, a causa delle sue caratteristiche intrinseche di produrre beni non rivali, riproducibili all'infinito, a costi di riproduzione tendenti a zero, fondata sulla condivisione e non sulla competizione, sulla diffusione più ampia, moltiplicativa etc., fosse ormai entrata di prepotenza in rotta di collisione con l'economia "materiale"?
O meglio. Se fosse in antagonismo radicale con le modalità e le pretese di controllo che le gerarchie prodotte dagli assetti di gestione dell'economia, così come di recente l'abbiamo vista?
Potrebbe essere una fanfaluca primaverile, ma se la crisi finanziaria potesse essere letta come una "nemesi" della conoscenza (la facilità di riproduzione di algoritmi ultrasemplificati rispetto alla realtà complessa di cui cercavano di calcolare i rischi) verso la faciloneria dei vari consigli di amministrazione dei vari Fondi di investimento e di Pensione, etc.
Faciloneria avallata da una perversione a-scientifica della visione neo-classica dell'economia, che portava a sottovalutare la complessità del reale.
Insomma, se proprio la estrema difficoltà di calcolare i prezzi, sempre più indeterminati, nella fase di immissione di prodotti "fabbricati" nel nuovo contesto dove l'immateriale non è calcolabile, ed è sganciato dai costi di produzione, fosse stata la talpa che ha scavato sotto i consigli di amministrazione delle banche e delle assicurazioni?
E se...?

martedì, aprile 28, 2009

Riporto un articolo uscito su Affari e Finanza di Repubblica del 27 aprile 2009, che in linea di massima approvo:

FOCUS

Crisi, la frenata non è una ripresa

REF (WWW.REFONLINE.IT)

Nel corso delle ultime settimane si è aperto un dibattito fra quanti enfatizzano i primi segnali di stabilizzazione del ciclo economico e quanti sottolineano il mancato superamento degli elementi di fragilità strutturale alla base della crisi, e in particolare le incertezze sul fronte dei bilanci bancari. Gli indicatori congiunturali non aiutano però ancora a sposare una delle opzioni alternative; se è vero che in diversi casi si osservano miglioramenti di alcune variabili legate alla congiuntura – prezzi delle materie prime, quotazioni degli indici di Borsa, indicatori della fiducia delle imprese di alcuni paesi è anche chiaro che i rialzi seguono a una fase di contrazione molto pronunciata. Inoltre, i primi segnali di recupero paiono legati a provvedimenti di politica economica (ad esempio nel caso italiano gli incentivi sull’auto) e non possono ancora rappresentare l’inizio di una fase di inversione in grado di autosostenersi.
In particolare, gli indici di fiducia delle imprese di alcuni paesi stanno migliorando, ma sono ancora su livelli molto bassi. Il segnale che ne deriva è che ci stiamo al più portando verso una fase di stabilizzazione dei livelli produttivi, e questo è evidentemente insufficiente per potere parlare di avvio della ripresa. Questo vale anche perché veniamo da un fase di caduta della produzione talmente ampia da alterare il significato di un eventuale recupero congiunturale. Difatti, soprattutto per molti settori industriali, la dimensione delle perdite di output dell’ultima parte del 2008 e dei primi mesi del 2009 è stata di dimensioni eccezionali. Quindi, se anche la produzione si stabilizzasse nella seconda parte dell’anno vicino al minimo di inizio 2009 saremmo in presenza di una contrazione tale da generare nei prossimi mesi effetti pesanti sul sistema economico: perdite occupazionali, fallimenti di aziende, sofferenze bancarie. Difficile parlare di ripresa in queste condizioni.
Si comprende quindi come il fatto di passare da un crollo del prodotto verso una fase di stagnazione sia tutt’altro che una buona notizia. Una persistenza dei livelli produttivi in prossimità dei minimi toccati durante i mesi passati avvalorerebbe l’ipotesi che la caduta non è stata un fatto episodico, e che i tempi della ripresa sono molto lunghi. Solo un rapido rimbalzo che recuperi in breve almeno parte delle perdite di prodotto subite nei mesi passati, potrebbe indicarci che la fase più difficile sta terminando e che la ripresa ha avuto inizio, ma una tale circostanza non è al momento avvalorata da alcun indicatore. Il rischio è di andare incontro ad una fase di blanda ripresa sostenuta soltanto dagli impulsi della politica fiscale, e destinata ad arenarsi già nel 2010, non appena il sostegno dei bilanci pubblici alla domanda aggregata tenderà a smorzarsi.

Fedele de novellis
Alle considerazioni di ieri aggiungiamo:

- dall'intervista a Squinzi (Federchimica) si desume che c'è una crescita della domanda di etilene (che è un precursore di tutta la filiera della chimica), ma con l'annotazione che le imprese stanno recuperando le scorte

- che vede una ripresa lentissima per tutto il 2010 e una situazione tranquilla a partire dal 2011-2012 (per il suo settore)

- finché non ci sarà una ripresa della domanda degli Usa, sarà molto difficile ci sia una ripresa degna di tale nome

E qui entriamo nel centro della questione: i consumi. Come fanno a riprendere i consumi al ritmo forsennato degli anni precedenti se non si RADDRIZZA il grande disequilibrio dei redditi? cioé se le classi meno pagate e relativamente impoverite, che hanno vissuto di una componente del reddito fondato sulla carta (che presumibilmente non ci sarà più) a sostenere la propria domanda, non avranno più la ILLUSIONE DI RICCHEZZA precedente, da dove trarranno le risorse per CONTINUARE a consumare come PRIMA?

Non dimentichiamo che anche il PIL probabilmente è stato sopravvalutato (vedi Luciano Gallino, Op. cit. pag. 13), e che quindi si è trattato in gran parte di crescita NULLA.
Ciò che è cresciuto è stato sicuramente la QUOTA di PIL assegnato alla rendita e ai profitti, a livello mondiale e nei singoli stati.

Inoltre, e ancora più profondamente, se le imprese quotate nelle Borse mondiali, hanno "marciato" [perché spinte dai processi di finanziarizzazione dell'impresa, che richiedeva che tutti gli elementi componenti dell'impresa rispondessero a criteri di contrattualità, che fossero ciascuno valutati in confronto ad analoghi componenti appartenenti alla concorrenza in qualunque parte del mondo e "cassati e dismessi" se non erano a quel livello, anche se andavano a gonfie vele...perché dovevano obbedire ai criteri imperanti e richiesti dai Fondi Pensione e Istituzionali vari che ne detenevano ( e ne detengono le quote principali)] a ritmi pari al 15% anno tra profitti, dividenti distribuiti, aumento di valore di Borsa, quindi ben al di sopra del 2% in media di crescita del Pil, come faranno ora a "riprendersi" dal momento che la differenza tra i due rendimenti era ed è TUTTA FITTIZIA; di carta?

Questo vuole semplicemente sottolineare che le imprese si sono trasfromate in un mero nesso di contratti, completamente finanziarizzati (il caso Enron ne resta un emblema).

Per le ultime considerazioni si deve vedere il bellissimo libro, appena uscito, di Luciano Gallino "Con i soldi degli altri", per l'editore Einaudi.

Se non si hanno risposte a queste domande, temo che si parli di aria fritta.


lunedì, aprile 27, 2009

La crisi è finita?

Intervista a Paul Krugman su Enquire, 26.04.2009

Krugman: I'm in the camp that really worries about the L-shaped recession. We level off but we don't get the recovery. We hope it isn't, but it has all the markings of it. This looks like the kind of slump that has all the markings of where normal recovery forces are very, very weak.

It's hard to see where recovery comes from. Almost always the way a country recovers from a financial crisis is with an export boom. The problem is that we have a global crisis this time. So who are we going to export to, unless we find another planet to take our stuff?

Intervista a Nuriel Roudini su Washington Post, 27.04.2009

What is going to fuel the next growth cycle?

That is a difficult question because the periods of high growth in the United States in the last 25 years have been characterized by an asset and credit bubble. The real estate bubble of the '80s ended up with pain in the [savings-and-loan] crisis. Then came the tech bubble, which ended up in another crash and led to a recession. And now we have this more generalized housing and credit bubble, which ended up in a big disaster. . . . We have to switch our capital into things that are more productive and more stable in terms of social growth. That is going to be a challenge. And the potential growth rate might fall to a much lower rate.

Sempre Krugman: chiude il suo articolo su NYT del 27 aprile 2009 in questo modo:

Or maybe not. There’s a palpable sense in the financial press that the storm has passed: stocks are up, the economy’s nose-dive may be leveling off, and the Obama administration will probably let the bankers off with nothing more than a few stern speeches. Rightly or wrongly, the bankers seem to believe that a return to business as usual is just around the corner.

We can only hope that our leaders prove them wrong, and carry through with real reform. In 2008, overpaid bankers taking big risks with other people’s money brought the world economy to its knees. The last thing we need is to give them a chance to do it all over again.

L'impressione infatti è che non sia cambiato quasi nulla nel comportamento del mondo finanziario, che stia aspettando di ricominciare come prima, che in realtà continui a scambiarsi derivati e altri titoli ugualmente pericolosi alla stessa maniera di un anno fa.

Inoltre sarebbe da considerare che la Cina sta prendendo posizione sul mercato delle materie prime, approfittando di una fase di prezzi molto bassi, che in una qualche maniera gli stock di magazzino dovevano essere ricostruiti, che il mercato dell'auto sia stato tenuto in piedi dai soldi dei contribuenti: difficile quindi pensare che ci possa essere all'orizzonte chissà quale ripresa a breve.

E il dubbio cresce ancora di più se si osserva il rialzare della testa proprio dei banchieri e delle compagnie di assicurazione, che sono i principali responsabilid del disastro finanziario mondiale, dei fondamentalisti del mercato che si autoregola in breve tempo, etc. etc.

Temo che i tempi saranno ancora più duri, altro che tempesta finita!


giovedì, aprile 23, 2009

Dal Blog di Aspo Italia:

"c'è un detto americano: se fa qua-qua come un'anatra, nuota come un'anatra, cammina come un'anatra, allora è molto probabile che sia un'anatra".
Si riferisce al "Picco" del petrolio, anzi di tutti i "liquidi" ricavati anche dalle tar sands dagli Heavy oil etc.


Come dire: i fattori della crisi più grave dal 1929 sono ancora tutti presenti.

mercoledì, aprile 22, 2009

Siamo sicuri della fine della crisi?

Sono molto perplesso dalle dichiarazioni sull'atterragio della navicella crisi. Ha raggiunto il fondo: lo dicono Bernanke, Marcegaglia e soprattutto il famoso Tremonti che non l'aveva vista arrivare, anzi provava a introdurre quella buffonata della Robin Hood tax, qualcuno ricorda?
Ma almeno due elementi dovrebbero indurre a molta circospezione:
- i bilanci delle banche americane sono stati costruiti permettendo l'"autovalutazione" (non so come altrimenti chiamarla" dei titoli in possesso
- la crisi energetica è impavida sempre presente
- il settore housing, negli Usa, resta in calo continuo (vedi l'articolo appena uscito sul NYT, anzi si ta aggiungendo anche il precipitoso crollo (-30%) dei valori immobiliari del settore commerciale
- soprattutto, tutte le condizioni reali che hanno montato gli squilibri di redditto alla base della crisi (che non è solo un problema di bilanci bancari e di finanza galeotta), sono ancora tutti presenti
- anzi, sono accentuati: da dove partiranno i consumi Usa, per esempio, se i cittadini Usa dovranno cominciare a fare a meno delle carte di credito?
- ultima notizia: il disavanzo della bilancia commerciale giapponese, il primo nella sua lunga storia di paese esportatore: e anche lì cominciano a dire che deve partire la domanda interna.
- ma la domanda interna non la possono "tirare" solo coloro che già hanno i redditi più alti: non funziona.

E allorà?

mercoledì, aprile 01, 2009

Siamo in una situazione di cambio strutturale, dove i parametri e le concettualizzazioni usate per le analisi precedenti, non contano più di tanto.
Ritengo infatti che fare “previsioni”, forecast, usando lo schema per cui storicamente a partire dalla fine della seconda guerra mondiale ci sono state recessioni che hanno avuto durata dai sette ai 18 mesi, non valga molto: come diceva Hume: “Misurare il futuro guardando a quanto avvenuto in passato non è un procedimento valido”. Analogamente si può anche riferirsi ai simpatici “Cigni neri”: il fatto di aver fin qui visto solo cigni bianchi non autorizza ad escludere la presenza di quelli neri.
Così, anche cercare di vedere nell’ormai prosciugamente delle scorte delle imprese, nel crescente invecchiamento dei macchinari, degli impianti e degli stabilimenti delle imprese, la sicura spinta per la ripresa tra sei/dodici mesi, sembra più un “mantra” che una realtà obiettiva.
Non dico che sia impossibile, ma penso che nei momenti di cambio di percorso delle variabili sia anche compresa una loro ridefinizione che abbia un fondamento empirico. Finché non ci sono evidenze su questo aspetto, si parla di aria fritta.

Quindi, e occorrerebbe anche andare a rileggersi alcune delle ultime lezioni di Paolo Sylos-Labini

A proposito del "nuovo"

“The US banking system faces losses of over $3,000bn. Japan is in a depression. China is headed for zero growth. Some still hope that urgent surgery can restore the status quo. But more feel that we are at one of those rare points of inflection when nothing is the same again.”
Geoff Mulgan, http://www.prospect-magazine.co.uk/article_details.php?id=10680

“…è ormai chiaro che dopo la crisi in atto l’industria manifatturiera e i suoi prodotti non saranno mai più quelli di prima. … l’idea che un paese, una regione, una città possano vivere bene soltanto promuovendo il turismo, le visite ai musei, il commercio via internet o i convegni internazionali, o magari soltanto le operazioni finanziarie, lasciando ai cinesi e indiani la fabbricazione di tutti i beni materiali di cui le persone hanno bisogno e utilizzano tutti i giorni, è stata un’illusione…”.
Luciano Gallino, La Repubblica, 1 aprile 2009.

Some claim that infrastructure spending creates a big Keynesian “multiplier,” a bigger increase in incomes than the initial spending (estimates range up to about 1.5 times the initial increase in spending). But infrastructure spending is usually slow – and almost always driven heavily by parochial political considerations. Japan’s annual 15-20 trillion yen infrastructure-intensive stimulus didn’t prevent its lost decade.

“…l’idea che, dopo gli interventi di sostegno al sistema bancario in essere, con l’aggiunta di un poco di trasparenza, tutto ritorni come prima, si riparta con i prezzi delle case, la finanza in sostituzione della spesa pubblica etc….è priva di ogni senso”

Pensare in questo modo significa semplicemente che si spera che le iniziative di stampo locale-nazionale siano in grado di sostituire reali politiche keynesiane di stampo globale è solo una pia illusione.

Così come lo sono tutte le iniziative, dai piani casa agli investimenti in infrastrutture, che si spera siano sostitutive di nuove produzioni e nuovi sistemi di produzione.

Per ora siamo ancora in alto mare.