Due parole su politica e la UE
Non basta dichiarare di essere in Europa per starci realmente, con i piedi ben piantati per terra. Occorre soprattutto che la testa elabori progettualità adeguata, di scala europea. Non solo strade, aeroporti e fiere, ma cooperazioni in cui imprese e capitale umano, formazione, concrete pratiche di ibridazione sociale circolino, si integrino, si aprano a reale dimensione internazionale. Chiusi in un paese solo, per non dire in una regione sola, si fanno unicamente politiche asfittiche e di corto respiro.
È quindi in questo senso che le proposte di un progetto cluster per l’automazione e l’innovazione tecnologica e la molteplicità di rami di industria connessi, la proposta di intervento su ambiente in una dimensione di compenetrazione/connessione di reti ecologiche con agricoltura di qualità, la preminenza quindi accordata al tema fondamentale della bio-diversità, la qualità dell’insediato attraverso il rallentamento del consumo del suolo e del fenomeno dello sprawl, possono essere inserite a questo livello di respiro europeo.
Si possono ritenere queste proposte come realmente proposte politiche, insieme ad altre cui stiamo lavorando, perché la mia sensazione (che poi è quella riportata da Limes nell’ultimo numero dedicato a “La Cina “spacca” l’occidente”), è che il dialogo diretto Cina – Usa, bypassata l’Europa con estrema facilità, sia il segno del fallimento attuale della politica europea. Le chiusure locali e nazionali hanno impedito all’Europa di affrontare in modo deciso la crisi attuale.
Mentre il resto del mondo, Usa, Cina, Giappone, paesi emergenti, si aprono e cercano di sperimentare nuovi equilibri, l’Europa si chiude tra scelte neo-mercantilistiche della Germania (limitata crescita interna trainata unicamente dalle esportazioni), “padroni a casa nostra” e niente politica economica anti-ciclica (vedi l’articolo “Aspettando la prima decisione di finanza pubblica” di Tito Boeri su www.lavoce.info) in Italia, solo per fare due esempi.
Possiamo anche dire che il risultato di tutto questo sia lo spostamento dell’elettorato europeo a destra, in controtendenza con quanto succede in altre aree del mondo (l’elezione di Obama, le elezioni in Giappone, etc.)?
Queste mi sembrano alcune riflessioni che spostano la discussione su terreni concreti e reali, piuttosto che stare a cincischiare con le elucubrazioni sulle alleanze, il cade-non cade del premier, il “compagno” Fini, i teodem, il più o meno “grande centro”, e chi più ne ha più ne metta.
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