giovedì, maggio 28, 2009

Nulla sembra ancora cambiato nel comportamento delle strutture finanziarie

Sembra che poco sia cambiato nel comportamento delle strutture finanziarie. Uno degli indicatori di questa situazione potrebbe essere proprio la proposta delle grandi banche Usa di cominciare a restituire i soldi ricevuti per sostenere la loro solvibilità. Questo passo non sarebbe motivato da una situazione risanata, ma dalla volontà di avere mani libere per ricominciare a dare i soliti bonus ai manager per incentivarli ad operare di nuovo come in precedenza: leva finanziaria su prodotti che possono riportare profitti a breve (futures, derivati vari, etc.) ma nulla verso le imprese e il sistema dell'economia reale.

Sembra quindi che il sistema sia proprio incapace di cambiare rotta. D'altra parte come sottolineato oggi da un articolo di Brooksley Born, i personaggi che a suo tempo (1999) si opposero fieramente ad una regolamentazione del mercato dei derivati, furono proprio Greenspan, Summers, Rubin...(e purtroppo gli ultimi due sono nello staff di Obama...).

Un esempio di come sia ripartito sotto le stesse insegne il circo Barnum di sempre è dato dal prezzo del petrolio e dai futures sul gas ad un anno:

- il petrolio cresce da 38 dollari a 60 in presenza di:

- calo dei consumi elettrici del 3,5% (5% a livello dei paesi industrializzati): non è mai successo dalla fine della II Guerra Mondiale, neanche all'epoca delle due crisi petrolifere (1973 e 1979)

- tanks ricolmi di petrolio, affittati e "parcheggiati" in attesa perché non sanno più dove metterlo

- riserve strategiche di petrolio e di prodotti raffinati a livelli mai visti

Questo cosa significa? Quantomeno che, se l'effetto di amplificazione non viene "limato", non appena ci saranno segnali veri di ripresa, il prezzo del petrolio e delle derrate alimentari, saranno già enormemente elevati (anche in presenza di una scarsità reale, e di investimenti sui nuovi giacimenti in calo rispetto al 2008 di 100 miliardi di dollari) e ripartirà inflazione, tassi alti, e la ripresa richinerà la testa di nuovo.
Uno "Stop and Go" che continuerà a lungo.

Nel frattempo le speranze di un processo di sostituzione di energie da fonti rinnovabili può diventare evanescente davanti alle rigidità degli interessi contrari, alla diminuzione degli investimenti già pari nel settore ad un - 38% rispetto al 2008.

Insomma, il passaggio ad un possibile nuovo assetto evolutivo dell'economia e della società sembra in fase di blocco, accentuando così i rischi di collassi epocali sociali ed umani.

Tra l'altro, i prezzi delle case sono di nuovo crollati in Usa così come le nuove costruzioni.
A questo proposito, c'è un bel libro di Orlean "DE L’EUPHORIE À LA PANIQUE :
PENSER LA CRISE FINANCIÈRE" in cui viene analizzata la cecità strutturale della finanza, e dei suoi assoluti fondamenti NON SCIENTIFICI, ma solo imitativi etc. davanti alla nascita e crescita delle bolle. Di quella immobiliare in primo luogo: 30 trilioni di dollari ne è stata la dimensione, pari al PIL dei paesi industrializzati.

Anche in Italia forse siamo arrivati alla fine di un ciclo lungo, relativo al settore immobiliare:
- sta finendo il processo di diminuzione del numro di appartenenti a nuclei famigliari: difficile andare sotto
- quindi sta per diminuire la richiesta di ulteriori case abitative
- avendo sempre meno figli, diminuisce anche la necessità di avere ambienti più grandi
- pare che negli ultimi 10 anni si siano costruito qualcosa come 22 metri cubi all'anno per persona nel nostro paese: una mostruosità (dati Istat recentissimi)
- l'arrivo di nuovi immigrati non può, ancora per un decennio almeno, sostenere la richiesta di acquisto di nuove case
- è anche probabile che l'arrivo di immigrati non sia in grado di sostituire la diminuzione della popolazione dovuta al raggiungimento del punto in cui il numero elevato e crescente di popolazione anziana comincerà a diminuire velocemente per l'accumulo dei decessi.



Forse il ciclo lungo cominciato

lunedì, maggio 11, 2009

Libri letti di recente

Libri da leggere e da tenere in memoria:

Grazzini, "L'economia della conoscenza", Codici, 2009
Luciano Gallino, "Con i soldi degli altri, Einaudi, 2009
Luigi Pasinetti, "Keynes and the Cambridge Keynesians", 2009
Hyman Minsky, "Stabilizing an unstable economy", MC Graw Hill, 2009
Paolo Sylos Labini, "Lezioni di economia politica", 1987
Bowles, "Microeconomia", 2008

I primi tre, uniti ad altri che ho già presentato in precedenza, costituiscono una buona base di riflessione.

La luce in fondo la tunnel?

Ci sono alcune annotazioni da rilevare:

- il Presidente Usa ha dichiarato (La Repubblica 8 maggio 2009) che: "Occorre dire chiaramente che in questi ultimi 15 anni la crescita del Pil Usa è stata mistificata per almeno la metà dall'economia fasulla di Wall Streeet....che d'ora in poi non sarà più possibile che l'economia Usa si basi per la sua metà su Wall Street...d'ora in poi i ragazzi con il 'bernoccolo' della matematica dovranno iscriversi a ingegneria e in altre materie scientifiche invece di frequentare Business School per fare poi i trader a Wall Street....". Che è come dire: "smettete di studiare bufale pseudo-scientifiche come quelle sparse in questi anni dai banchieri di WallaStreet e dalle teorie sui mercati perfetti e sulle aspettative razionali che poggiano sul nulla, e mettetevi a lavorare su una vera economia della conoscenza.

- Paul Krugman e Stiglitz, sempre su La Repubblica del 10.5.2009, manifestano i loro dubbi sulla reale ripresa del settore bancario, anzi, dopo aver rilevato che lo stress-test in realtà è stato abbastanza accomodato, dopo aver riportato che le banche non hanno ancora ricominciato a fornire crediti all'economia reale (analogo ragionamento è oggi su Affari e Finanza da parte di Marcello De Cecco), che vengono forniti solo dalla Fed e da Fanny e Freddy Mac per i mutui, ma possono rilevarsi insufficienti), che la raccolta bancaria per ora è ancora a costi molto elevati e SOLO a BREVISSIMO TERMINE, niente obbligazioni niente azioni da parte delle banche; esprimono il timore che tutto possa risolversi in un niente.
Cioé che le banche sperino di aver passato la bufera e che possano ricominciare a fare le stesse cose di prima.
Esemplare, da questo punto di vista, la dichiarazione dell'avv. Cohen (riportata con allarme da Krugman), che doveva diventare sottosegretario al Tesoro ma ha declinato l'offerta, che è stato più volte indicato come "la vera anima dietro Wall Street": "non sono convinto che ci fosse qualcosa di sbagliato nel sistema"!!!!
Krugman: "Pertanto, se anche i banchieri riterranno "rassicuranti" i risultati dello stress-test, noi tutti dovremmo essere molto, molto preoccupati".

A questo punto la domanda ritorna d'obbligo: "se non ci sarà più l'economia di carta straccia come in precedenza, da dove verrà una crescita superiore al 1,5%?
e se invece riparte tutto, per poco tempo naturalmente, l'euforia precedente, come farà a sostenersi senza riaffondare di nuovo e in maniera ancora più grave?

Provo a formulare una piccola ipotesi, giusto per avere qualcosa da mettere sotto prova nei prossimi giorni: se l'espansione della finanza d'accatto, basata sul vuoto di teorie sballate, fosse stato il risultato incoerente di una incongruenza annidata nel funzionamento ed emersione dell'economia della conoscenza?
Che sarebbe così entrata in rotta di collisione proprio con un sistema finanziario che si è espanso in maniera illimitata e acritica senza averne né le gambe, nè le possibilità concrete, né la forza, né l'intelligenza di capire che in realtà la condivisione del rischio ad libitum era sì l'illusione della globalizzazione, ma anche il suo limite strutturale?

Se così fosse, saremmo allora semplicemente davanti ad un ulteriore scivolone di questa manica di balordi dalle "menti rotte" e stravolte.

Come dice Ilvo Diamanti nel suo articolo di ieri su "Sicurezza e paura":
"Che l'angoscia sia con voi"!


mercoledì, aprile 29, 2009

E se l'economia della conoscenza....???

Brevi flash sull'economia della conoscenza. Tratti dal bellissimo libro "L'economia della conoscenza oltre il capitalismo" di Grazzini .
E se la componente crescente dell'economia della conoscenza, che induce fallimenti di mercato a raffica, a causa delle sue caratteristiche intrinseche di produrre beni non rivali, riproducibili all'infinito, a costi di riproduzione tendenti a zero, fondata sulla condivisione e non sulla competizione, sulla diffusione più ampia, moltiplicativa etc., fosse ormai entrata di prepotenza in rotta di collisione con l'economia "materiale"?
O meglio. Se fosse in antagonismo radicale con le modalità e le pretese di controllo che le gerarchie prodotte dagli assetti di gestione dell'economia, così come di recente l'abbiamo vista?
Potrebbe essere una fanfaluca primaverile, ma se la crisi finanziaria potesse essere letta come una "nemesi" della conoscenza (la facilità di riproduzione di algoritmi ultrasemplificati rispetto alla realtà complessa di cui cercavano di calcolare i rischi) verso la faciloneria dei vari consigli di amministrazione dei vari Fondi di investimento e di Pensione, etc.
Faciloneria avallata da una perversione a-scientifica della visione neo-classica dell'economia, che portava a sottovalutare la complessità del reale.
Insomma, se proprio la estrema difficoltà di calcolare i prezzi, sempre più indeterminati, nella fase di immissione di prodotti "fabbricati" nel nuovo contesto dove l'immateriale non è calcolabile, ed è sganciato dai costi di produzione, fosse stata la talpa che ha scavato sotto i consigli di amministrazione delle banche e delle assicurazioni?
E se...?

martedì, aprile 28, 2009

Riporto un articolo uscito su Affari e Finanza di Repubblica del 27 aprile 2009, che in linea di massima approvo:

FOCUS

Crisi, la frenata non è una ripresa

REF (WWW.REFONLINE.IT)

Nel corso delle ultime settimane si è aperto un dibattito fra quanti enfatizzano i primi segnali di stabilizzazione del ciclo economico e quanti sottolineano il mancato superamento degli elementi di fragilità strutturale alla base della crisi, e in particolare le incertezze sul fronte dei bilanci bancari. Gli indicatori congiunturali non aiutano però ancora a sposare una delle opzioni alternative; se è vero che in diversi casi si osservano miglioramenti di alcune variabili legate alla congiuntura – prezzi delle materie prime, quotazioni degli indici di Borsa, indicatori della fiducia delle imprese di alcuni paesi è anche chiaro che i rialzi seguono a una fase di contrazione molto pronunciata. Inoltre, i primi segnali di recupero paiono legati a provvedimenti di politica economica (ad esempio nel caso italiano gli incentivi sull’auto) e non possono ancora rappresentare l’inizio di una fase di inversione in grado di autosostenersi.
In particolare, gli indici di fiducia delle imprese di alcuni paesi stanno migliorando, ma sono ancora su livelli molto bassi. Il segnale che ne deriva è che ci stiamo al più portando verso una fase di stabilizzazione dei livelli produttivi, e questo è evidentemente insufficiente per potere parlare di avvio della ripresa. Questo vale anche perché veniamo da un fase di caduta della produzione talmente ampia da alterare il significato di un eventuale recupero congiunturale. Difatti, soprattutto per molti settori industriali, la dimensione delle perdite di output dell’ultima parte del 2008 e dei primi mesi del 2009 è stata di dimensioni eccezionali. Quindi, se anche la produzione si stabilizzasse nella seconda parte dell’anno vicino al minimo di inizio 2009 saremmo in presenza di una contrazione tale da generare nei prossimi mesi effetti pesanti sul sistema economico: perdite occupazionali, fallimenti di aziende, sofferenze bancarie. Difficile parlare di ripresa in queste condizioni.
Si comprende quindi come il fatto di passare da un crollo del prodotto verso una fase di stagnazione sia tutt’altro che una buona notizia. Una persistenza dei livelli produttivi in prossimità dei minimi toccati durante i mesi passati avvalorerebbe l’ipotesi che la caduta non è stata un fatto episodico, e che i tempi della ripresa sono molto lunghi. Solo un rapido rimbalzo che recuperi in breve almeno parte delle perdite di prodotto subite nei mesi passati, potrebbe indicarci che la fase più difficile sta terminando e che la ripresa ha avuto inizio, ma una tale circostanza non è al momento avvalorata da alcun indicatore. Il rischio è di andare incontro ad una fase di blanda ripresa sostenuta soltanto dagli impulsi della politica fiscale, e destinata ad arenarsi già nel 2010, non appena il sostegno dei bilanci pubblici alla domanda aggregata tenderà a smorzarsi.

Fedele de novellis
Alle considerazioni di ieri aggiungiamo:

- dall'intervista a Squinzi (Federchimica) si desume che c'è una crescita della domanda di etilene (che è un precursore di tutta la filiera della chimica), ma con l'annotazione che le imprese stanno recuperando le scorte

- che vede una ripresa lentissima per tutto il 2010 e una situazione tranquilla a partire dal 2011-2012 (per il suo settore)

- finché non ci sarà una ripresa della domanda degli Usa, sarà molto difficile ci sia una ripresa degna di tale nome

E qui entriamo nel centro della questione: i consumi. Come fanno a riprendere i consumi al ritmo forsennato degli anni precedenti se non si RADDRIZZA il grande disequilibrio dei redditi? cioé se le classi meno pagate e relativamente impoverite, che hanno vissuto di una componente del reddito fondato sulla carta (che presumibilmente non ci sarà più) a sostenere la propria domanda, non avranno più la ILLUSIONE DI RICCHEZZA precedente, da dove trarranno le risorse per CONTINUARE a consumare come PRIMA?

Non dimentichiamo che anche il PIL probabilmente è stato sopravvalutato (vedi Luciano Gallino, Op. cit. pag. 13), e che quindi si è trattato in gran parte di crescita NULLA.
Ciò che è cresciuto è stato sicuramente la QUOTA di PIL assegnato alla rendita e ai profitti, a livello mondiale e nei singoli stati.

Inoltre, e ancora più profondamente, se le imprese quotate nelle Borse mondiali, hanno "marciato" [perché spinte dai processi di finanziarizzazione dell'impresa, che richiedeva che tutti gli elementi componenti dell'impresa rispondessero a criteri di contrattualità, che fossero ciascuno valutati in confronto ad analoghi componenti appartenenti alla concorrenza in qualunque parte del mondo e "cassati e dismessi" se non erano a quel livello, anche se andavano a gonfie vele...perché dovevano obbedire ai criteri imperanti e richiesti dai Fondi Pensione e Istituzionali vari che ne detenevano ( e ne detengono le quote principali)] a ritmi pari al 15% anno tra profitti, dividenti distribuiti, aumento di valore di Borsa, quindi ben al di sopra del 2% in media di crescita del Pil, come faranno ora a "riprendersi" dal momento che la differenza tra i due rendimenti era ed è TUTTA FITTIZIA; di carta?

Questo vuole semplicemente sottolineare che le imprese si sono trasfromate in un mero nesso di contratti, completamente finanziarizzati (il caso Enron ne resta un emblema).

Per le ultime considerazioni si deve vedere il bellissimo libro, appena uscito, di Luciano Gallino "Con i soldi degli altri", per l'editore Einaudi.

Se non si hanno risposte a queste domande, temo che si parli di aria fritta.


lunedì, aprile 27, 2009

La crisi è finita?

Intervista a Paul Krugman su Enquire, 26.04.2009

Krugman: I'm in the camp that really worries about the L-shaped recession. We level off but we don't get the recovery. We hope it isn't, but it has all the markings of it. This looks like the kind of slump that has all the markings of where normal recovery forces are very, very weak.

It's hard to see where recovery comes from. Almost always the way a country recovers from a financial crisis is with an export boom. The problem is that we have a global crisis this time. So who are we going to export to, unless we find another planet to take our stuff?

Intervista a Nuriel Roudini su Washington Post, 27.04.2009

What is going to fuel the next growth cycle?

That is a difficult question because the periods of high growth in the United States in the last 25 years have been characterized by an asset and credit bubble. The real estate bubble of the '80s ended up with pain in the [savings-and-loan] crisis. Then came the tech bubble, which ended up in another crash and led to a recession. And now we have this more generalized housing and credit bubble, which ended up in a big disaster. . . . We have to switch our capital into things that are more productive and more stable in terms of social growth. That is going to be a challenge. And the potential growth rate might fall to a much lower rate.

Sempre Krugman: chiude il suo articolo su NYT del 27 aprile 2009 in questo modo:

Or maybe not. There’s a palpable sense in the financial press that the storm has passed: stocks are up, the economy’s nose-dive may be leveling off, and the Obama administration will probably let the bankers off with nothing more than a few stern speeches. Rightly or wrongly, the bankers seem to believe that a return to business as usual is just around the corner.

We can only hope that our leaders prove them wrong, and carry through with real reform. In 2008, overpaid bankers taking big risks with other people’s money brought the world economy to its knees. The last thing we need is to give them a chance to do it all over again.

L'impressione infatti è che non sia cambiato quasi nulla nel comportamento del mondo finanziario, che stia aspettando di ricominciare come prima, che in realtà continui a scambiarsi derivati e altri titoli ugualmente pericolosi alla stessa maniera di un anno fa.

Inoltre sarebbe da considerare che la Cina sta prendendo posizione sul mercato delle materie prime, approfittando di una fase di prezzi molto bassi, che in una qualche maniera gli stock di magazzino dovevano essere ricostruiti, che il mercato dell'auto sia stato tenuto in piedi dai soldi dei contribuenti: difficile quindi pensare che ci possa essere all'orizzonte chissà quale ripresa a breve.

E il dubbio cresce ancora di più se si osserva il rialzare della testa proprio dei banchieri e delle compagnie di assicurazione, che sono i principali responsabilid del disastro finanziario mondiale, dei fondamentalisti del mercato che si autoregola in breve tempo, etc. etc.

Temo che i tempi saranno ancora più duri, altro che tempesta finita!


giovedì, aprile 23, 2009

Dal Blog di Aspo Italia:

"c'è un detto americano: se fa qua-qua come un'anatra, nuota come un'anatra, cammina come un'anatra, allora è molto probabile che sia un'anatra".
Si riferisce al "Picco" del petrolio, anzi di tutti i "liquidi" ricavati anche dalle tar sands dagli Heavy oil etc.


Come dire: i fattori della crisi più grave dal 1929 sono ancora tutti presenti.

mercoledì, aprile 22, 2009

Siamo sicuri della fine della crisi?

Sono molto perplesso dalle dichiarazioni sull'atterragio della navicella crisi. Ha raggiunto il fondo: lo dicono Bernanke, Marcegaglia e soprattutto il famoso Tremonti che non l'aveva vista arrivare, anzi provava a introdurre quella buffonata della Robin Hood tax, qualcuno ricorda?
Ma almeno due elementi dovrebbero indurre a molta circospezione:
- i bilanci delle banche americane sono stati costruiti permettendo l'"autovalutazione" (non so come altrimenti chiamarla" dei titoli in possesso
- la crisi energetica è impavida sempre presente
- il settore housing, negli Usa, resta in calo continuo (vedi l'articolo appena uscito sul NYT, anzi si ta aggiungendo anche il precipitoso crollo (-30%) dei valori immobiliari del settore commerciale
- soprattutto, tutte le condizioni reali che hanno montato gli squilibri di redditto alla base della crisi (che non è solo un problema di bilanci bancari e di finanza galeotta), sono ancora tutti presenti
- anzi, sono accentuati: da dove partiranno i consumi Usa, per esempio, se i cittadini Usa dovranno cominciare a fare a meno delle carte di credito?
- ultima notizia: il disavanzo della bilancia commerciale giapponese, il primo nella sua lunga storia di paese esportatore: e anche lì cominciano a dire che deve partire la domanda interna.
- ma la domanda interna non la possono "tirare" solo coloro che già hanno i redditi più alti: non funziona.

E allorà?

mercoledì, aprile 01, 2009

Siamo in una situazione di cambio strutturale, dove i parametri e le concettualizzazioni usate per le analisi precedenti, non contano più di tanto.
Ritengo infatti che fare “previsioni”, forecast, usando lo schema per cui storicamente a partire dalla fine della seconda guerra mondiale ci sono state recessioni che hanno avuto durata dai sette ai 18 mesi, non valga molto: come diceva Hume: “Misurare il futuro guardando a quanto avvenuto in passato non è un procedimento valido”. Analogamente si può anche riferirsi ai simpatici “Cigni neri”: il fatto di aver fin qui visto solo cigni bianchi non autorizza ad escludere la presenza di quelli neri.
Così, anche cercare di vedere nell’ormai prosciugamente delle scorte delle imprese, nel crescente invecchiamento dei macchinari, degli impianti e degli stabilimenti delle imprese, la sicura spinta per la ripresa tra sei/dodici mesi, sembra più un “mantra” che una realtà obiettiva.
Non dico che sia impossibile, ma penso che nei momenti di cambio di percorso delle variabili sia anche compresa una loro ridefinizione che abbia un fondamento empirico. Finché non ci sono evidenze su questo aspetto, si parla di aria fritta.

Quindi, e occorrerebbe anche andare a rileggersi alcune delle ultime lezioni di Paolo Sylos-Labini

A proposito del "nuovo"

“The US banking system faces losses of over $3,000bn. Japan is in a depression. China is headed for zero growth. Some still hope that urgent surgery can restore the status quo. But more feel that we are at one of those rare points of inflection when nothing is the same again.”
Geoff Mulgan, http://www.prospect-magazine.co.uk/article_details.php?id=10680

“…è ormai chiaro che dopo la crisi in atto l’industria manifatturiera e i suoi prodotti non saranno mai più quelli di prima. … l’idea che un paese, una regione, una città possano vivere bene soltanto promuovendo il turismo, le visite ai musei, il commercio via internet o i convegni internazionali, o magari soltanto le operazioni finanziarie, lasciando ai cinesi e indiani la fabbricazione di tutti i beni materiali di cui le persone hanno bisogno e utilizzano tutti i giorni, è stata un’illusione…”.
Luciano Gallino, La Repubblica, 1 aprile 2009.

Some claim that infrastructure spending creates a big Keynesian “multiplier,” a bigger increase in incomes than the initial spending (estimates range up to about 1.5 times the initial increase in spending). But infrastructure spending is usually slow – and almost always driven heavily by parochial political considerations. Japan’s annual 15-20 trillion yen infrastructure-intensive stimulus didn’t prevent its lost decade.

“…l’idea che, dopo gli interventi di sostegno al sistema bancario in essere, con l’aggiunta di un poco di trasparenza, tutto ritorni come prima, si riparta con i prezzi delle case, la finanza in sostituzione della spesa pubblica etc….è priva di ogni senso”

Pensare in questo modo significa semplicemente che si spera che le iniziative di stampo locale-nazionale siano in grado di sostituire reali politiche keynesiane di stampo globale è solo una pia illusione.

Così come lo sono tutte le iniziative, dai piani casa agli investimenti in infrastrutture, che si spera siano sostitutive di nuove produzioni e nuovi sistemi di produzione.

Per ora siamo ancora in alto mare.

giovedì, dicembre 18, 2008

LA CRISI ATTUALE E’ CRISI DI SISTEMA

La crisi attuale è crisi di sistema. Di cui non si prevedono né la profondità né la durata .
E’ una crisi che viene da lontano e trova i suoi fondamenti negli indirizzi liberistici che sono stati la reazione ai movimenti degli anni ’60-’70.
Questi indirizzi hanno trovato carburante nello sviluppo tecnologico (le cui basi si devono comunque a ricerche risalenti agli anni precedenti: transistor, micro-chip, silicio, informatica)
e nella prima e seconda (1973-1979) crisi del petrolio
a questo si è accompagnato:

- il processo inflazionistico ( a sua volta innescato dalla crisi del dollaro a seguito della guerra del Vietnam, fine del gold exchange standard sancito a Bretton Woods, cui è seguita l’impennata dei prezzi del petrolio, la crisi dei paesi sottosviluppati, etc.)

- il progressivo declino manifatturiero tradizionale degli USA e il declino della sua produttività

- la produzione di nuovi prodotti (computer e TLC)

- la rottura del sistema fordista classico che era stata sia l’ossatura della classe operaia precedente (contro cui si era comunque rivoltata negli anni ’60 fino a produrne la rottura e poi la fine e trasformazione)

- la crisi strisciante del welfare state, soprattutto negli Usa che, con l’avvento della presidenza Reagan impongono la vittoria della scuola di Chicago e la sua visione della teoria economica:

- vengono a poco a poco modificate sia le modalità di costruzione delle statistiche (da quelle che compongono il paniere dei beni che calcolano l’inflazione a quelle relative ai criteri che misurano la disoccupazione, agli aggregati monetari M2 e M3 da seguire per valutare la politica monetaria)

- istruzione e sanità diventano sempre più strettamente private accelerandone l’insostenibilità dei costi e degradandone la qualità . Questo sistema sarà poi seguito anche da India e Cina. Almeno fino ad oggi, momento in cui si appalesa tutta la sua grande inefficienza e incapacità a reggere un momento di profonda trasformazione. A dimostrazione che il sistema di privatizzazione totale dei servizi alloca le risorse al livello mediamente più basso, contrariamente a quanto invece sbandierato ai quattro venti per decenni.

- Desindacalizzazione dei rapporti industriali

- Dagli anni ’80 comincia così il calo della quota dei salari sul Pil Usa
- D’ora in poi ci vorranno due stipendi a famiglia per vivere alle condizioni precedenti

- L’aumento del lavoro femminile (grande conquista in sé) maschera la progressiva perdita di potere d’acquisto dei salari

- Il progressivo abbandono del sostegno pubblico all’istruzione e alla sanità etc. viene sostituito da un “effetto ricchezza” che diventerà l’anima e la dorsale su cui si costruiranno le illusioni di sostenere tramite una crescita eterna degli asset finanziari i nuovi servizi divenuti nel frattempo sempre più cari: la Borsa e i Fondi di investimento e Fondi Pensione devono sostituire la mano pubblica

- Il mantra sarà così per decenni:


o Globalizzazione dei mercati finanziari e dei capitali
o Privatizzazione di tutte le situazioni di monopolio pubblico:
 Sanità
 Istruzione
 Sistema pensionistico
 Pubbliche Utilities:
• Acqua
• Energia
• Sistemi ferroviari e trasporti pubblici in genere


o Taglio dei salari e flessibilità (cosiddetta riforma del mercato del lavoro) che continua ad essere invocata in continuazione anche in presenza di un crollo della domanda dovuta proprio alla finalmente evidente emersione del LIVELLO INSUFFICIENTE DEI SALARI

- il mantra continuava a recitare anche che il taglio delle tasse e il conseguente trasferimento di ricchezza dalla classe media alle classi più ricche (e intraprendenti, si aggiungeva) avrebbe comportato una migliore allocazione delle risorse, maggiori investimenti, anche in ricerca (tramite i private equity), innalzando così il livello medio della ricchezza etc. I consumi dei ricchi avrebbero fato da traino all’intero sistema, in sostanza.

- I guadagni permessi dalle Borse avrebbero pagato e sostenuto tutto: i servizi, le pensioni, la ricerca privata, gli investimenti in imprese innovative

- A condizione che gli utili fossero molto, ma molto elevati, tali da consentire la crescita degli asset, tali da sostenere il sistema degli hedge fund, che avrebbero equilibrato tutto, fornendo ulteriore benzina…

Su tutto imperava una dottrina economica che irrideva Keynes, l’intervento dello Stato e della mano pubblica, sostituiva il benefattore e la carità al welfare, richiamava sempre più gente alle business school, ai corsi di economia, ai master di finanza e gestione finanziaria, etc.

Riguardo alle risorse energetiche e materiali in genere, la dottrina economica dominante si beava di un sornione schemino per cui tutto si risolveva in un gioco tra domanda e offerta: questa risolveva sia la scelta dei vari fattori, delle tecnologie, spingeva a individuare quelle nuove sostitutive delle precedenti, saltava a piè pari la dimensione finita delle risorse fisiche, etc.
Senza mai prendere in considerazione che al massimo queste forse possono orientare da che parte spingere scelte che invece sono già state fatte in altre parti del sistema, la ricerca di base, la coscienza etica anche, la coscienza che le risorse sono drammaticamente finite ….l’insostenibilità di una distribuzione sociale sperequata, per esempio.

La produzione e distribuzione dei prodotti agricoli seguiva lo stesso schema producendo distorsioni produttive che avrebbero impoverito drammaticamente i terreni, ridotto la biodiversità, accelerando criminalmente il massacro e sfruttamento degli animali e con ciò accelerando l’impoverimento delle condizioni climatiche e costituendo uno dei principali fattori dell’effetto serra: il dolore degli animali comincia così a cascare e a ritorcersi sul sistema produttivo umano che li usa in maniera così demente.

Accanto a questo si stava profilando la grande diffusione del sistema televisivo, imperante, che si collocava al centro del sistema dei media del tempo.
Centralizzato, in condizioni di oligopolio stretto, direttamente dall’ alto verso il basso.
Un sistema di reti centralizzate simile alle reti centralizzate della distribuzione dell’energia.


Ad un certo punto, lo schema si rompe:
l’epoca delle energie fossili, base dei sistemi sopra citati, comincia a cedere [l’ultimo tentativo di tenere insieme modello finanziario, centralità del dollaro, petrolio, iniziativa privata spinta fino all’economia criminale (grandi stati, come la Russia, dominata da gang mafio-servizi segreti fino ai vertici dello stato) a quella che viene anche denominata “Shock economy”, alla gestione perfino dei servizi di logistica e di security , può essere individuato nella disastrosa guerra in Iraq]

La crescita infinita del valore degli asset finanziari, ma poi anche immobiliari, ovviamente si ferma (è banale, ma all’epoca nessuno aveva VOLUTO vederlo: quando l’80% della popolazione possiede una casa, oppure anche oltre come in Spagna, dove il “botto” sarà anche più grave, si raschia il fondo del barile che così si sfonda…), i fondi si accorgono di essere scoperti, ci si accorge che molti utili di imprese sono fittizi (più carta che reali: per esempio le case automobilistiche guadagnavano di più con le loro finanziarie che fornivano prestiti per l’acquisto delle auto che con la produzione stessa), e guarda caso si scopre che l’industria dell’auto è ormai un vecchio rudere industriale che lavora in perdita da alcuni decenni (almeno in USA), si scatena così l’ultima corsa a ciò che sembra crescere di valore (petrolio che ormai rappresenta un bene in via di prosciugamento finale, il cibo in un mondo che cresce a dismisura, materie prime per il 40% della popolazione mondiale che sta uscendo dalla povertà).
Ma anche questo si ferma: una furiosa necessità di denaro per coprire buchi emersi da altre parti, qualche colpo di tosse del sistema produttivo reale che innesca alcuni primi timori di diminuzione della domanda, una piccola oscillazione in senso inverso e il rivolo iniziale si trasforma in un’ondata di vendite e di acquisto di future su indici sempre più velocemente calanti.
E così scoppia la bolla…finisce la carta e restano utili in rosso, conti in perdita, forti contrazioni di domanda, si scopre che il modello produzione-consumo operativo da decenni è ormai obsoleto , che è tutto vecchio, che le infrastrutture che dovevano essere fatte in project financing stanno andando a pezzi, che le reti di distribuzione di energia sono arrugginite, per non parlare di quelle che trasportano il petrolio o il gas ormai corrose fino ad essere sempre più bucherellate…

Si scopre che le aspettative del mercato degli immobili erano sballate, da parte dei costruttori, delle banche e infine, naturalmente, delle famiglie. Il caso della Spagna è indicativo oltre ogni misura: il 25% del Pil è costituito dal settore delle costruzioni.
E’ qui solo il caso di citare la pletora di commenti entusiasti da parte della nostra stampa economica che esaltava il modello spagnolo, la sua produttività, la sua modernità, scambiando i mattoni e il cemento per innovazione tecnologica, intelligenza immateriale, ricerca scientifica…la famosa flessibilità del suo mercato del lavoro (masse di lavoratori edili usati come schiavi e ultra-sottopagati, come gli extracomunitari nelle nostre campagne o gli stessi nella nostra edilizia altrettanto demente).


E la Russia che pensava a ricostruire imperi si trova a guardare con orrore un prezzo del gas e del petrolio insufficiente e reggere i suoi conti immediati….
E dire che davano Putin per essere intelligentissimo e freddissimo e…
Per dare alcuni numeri in materia: sembra che i budget statali di molti paesi del M.O. non siano in grado di reggere a livelli dei prezzi come gli attuali: l’Iran non può stare sotto i 80 dollari a barile, la Russia abbia problemi a 90, e in linea di massima questa sembra essere all’incirca la linea di galleggiamento.



la Telematica e Internet si affiancano al sistema centralizzato e gerarchico di trasmissione delle informazioni, diventano il primo strumento per la globalizzazione dei mercati finanziari (soprattutto le prime forme di trasmissione tramite telefax e con reti interne tra banche) e poi cominciano a fornire un modello diverso di gestione del flusso di informazioni, di decentralizzazione delle risorse, della possibilità di convivenza del piccolo sistema, indipendente, accanto al grande che non è più il solo produttore efficiente.
Poi arrivano le applicazioni, nell’arco dei prossimi due/tre anni, delle nuove tecnologie in grado di trasferire non più solo 100 mega bps (bit per second) ma addirittura da 10 a 100 giga bps (tramite la fotonica del silicio e l’Avalanche Photo Detector ideato dalla Intel), arrivando quindi ad aprire lo spazio per le applicazione in 3D, il controllo a distanza, la telemedicina integrata ad immagini, la sperimentazione “virtuale” di laboratorio on-line, la connessione multipla di migliaia di computer per risolvere problemi di calcolo paralleli, etc.

Tutto questo vuol dire nuovi prodotti, che emergono dall’intelligenza immateriale, vuol dire porsi sulla strada di un sistema produttivo orientato al benessere dei cittadini e non alla rincorsa demente di consumo compulsivo secondo un modello che è ormai giunto al limite.
Più intelligenza e meno consumo smodato di risorse, tra cui soprattutto i territorio.

Vuol dire vedere anche la decentralizzazione come uno dei possibili sistemi in grado di risolvere i problemi di spreco di risorse prodotte dalle scelte conseguenti alla centralizzazione dei grandi sistemi caratteristici del passato: un tempo crollarono i grandi imperi caratterizzati dalla centralizzazione dispotica delle infrastrutture create inizialmente per convogliare acque per l’irrigazione delle colture, perché quei sistemi erano diventati ecologicamente distruttivi, l’uso intensivo ne aveva mostruosamente aumentato la capacità distruttiva, così cominciarono a convogliare acqua salmastra (la allora fertile Mezzaluna) fino a produrre un immenso deserto dove inizialmente c’erano complessi sistemi caratterizzati da biodiversità e da ricchezza ecologica.
Guarda caso ci si è accorti solo ora che le zone umide, le paludi, sono dei formidabili sistemi di assorbimento della CO2 in eccesso.




2) il berlusconismo è entrato in fase di crisi finale

E’ iniziata la fase di declino inarrestabile del berlusconismo .

Al di là di evanescenti analisi basate su sondaggi o sull’immancabile gossip da fine impero TV, sono i tempi della crisi che stabiliscono fin da ora la crisi irreversibile del berlusconismo.
Senza peraltro far avanzare di un passo le probabilità che le attuali oligarchie del centrosinistra siano in grado di cogliere la minima occasione di inversione della situazione e recuperare un minimo di credibilità.
I giochi da dietro l’angolo, gli ammiccamenti, gli appuntamenti a Porta a Porta (peraltro finalmente crollano le vendite degli assolutamente inutili libri di Bruno Vespa e crescono quelle degli ancora più dementi libri di D’Agostino-Dagospia…), le vesti stracciate di teo-dem vari, le manovre per agganciare un centro moderato (che passano per grande abilità politica…), sono imbronciamenti da bambini…

Sono i tempi della crisi a stabilire chi e cosa è in gioco:

“The New Deal was on the one hand much larger than any recent government initiatives in the U.S., and on the other hand too small for the crisis of the 1930s – or for today. Rebuilding our infrastructure and social programs, while reducing carbon emissions to a sustainable level, will not be finished in a year, or even one presidential term. An ongoing effort is required, more on the scale of wartime mobilization or the active engagement of governments in successful development strategies. With such an effort, there will be a realiable set of investment opportunities in the production of real, socially useful goods and services, as well as a much-strengthened government empowered to regulate and prevent dangerous forms of speculation and undesirable financial “innovations”.”


Ora anche Cina e India devono convertire il loro modello di sviluppo. Meno dipendenza dalle esportazioni e più spazio allo sviluppo interno.
Per la Cina questo vuol dire: Welfare, istruzione, sanità pensioni.




3) La variabile territorio: due approcci

Si fa un gran parlare di “territorio”. A sinistra si invoca il “ritorno al territorio” con la stessa ingenuità e leggerezza con cui ci si richiama al “ritorno alla natura” .
In realtà esistono due approcci al territorio:
- approccio ingenuo
- approccio reale
-

E’ strano che si facciano promotori di questa linea proprio coloro che in questi ultimi dieci anni sono stati in prima linea a saccheggiare e distruggere il territorio, cementificandolo fino all’inverosimile, ignorandone le componenti reali e guardandolo solo come “spazio da consumare”. In primis proprio i responsabili delle amministrazioni locali che ne hanno fatto scempio. E di quelle di sinistra in testa.
Tre milioni di ettari ricoperti da cemento in 10 anni, come certificato da Italia Nostra in una recente ricerca.

In realtà dietro la frase “torniamo al territorio”, si vede solo l’idea di indagare da vicino, con sondaggi e altri strumenti da usare “porta a porta” per “sentire” il “polso alla gente”.
Visione banale e assolutamente perdente, priva di visione direttiva e di comprensione di cosa invece sia il territorio reale.
Che è costituito da componenti quali il capitale insediativi, quellotivo, quello ambientale, quello sociale (che comprende il livello di coesione, etc.), sostenuto dal livello di welfare, etc.

Ignorare questo significa fare solo annunci.

venerdì, novembre 21, 2008

Senza intervento politico il clima....

Segnalo una bella ricerca sugli effetti del cambiamento climatico nel caso di insistente e continuativa mancanza di azione da parte della politica:
il sito è quello di VoxEu

Ultime da Roudini

On Nouriel Roubini's Global EconoMonitor, Nouriel explains why the U.S. economic and financial crises reinforce each other and have yet to bottom. He illustrates several persistent and structural risks for U.S. consumer spending in “20 Reasons Why the U.S. Consumer is Capitulating, thus Triggering the Worst U.S. Recession in Decades“. As consumption provides 71% of U.S. GDP, a consumer recession could result in the worst recession since World War II, starting with a minimum 5% GDP contraction in Q4 2008 and ending at least 3 times as long and deep as the previous two recessions. To make matters worse, the market’s loss of confidence in policymakers despite aggressive policy actions will keep financial losses mounting. To pull out of this mess, Nouriel calls for committing the entirety of TARP to recapitalizing financial firms in “Transcript of Talk at AEI seminar on the "The Deflating Mortgage and Housing Bubble, Part IV: Where Is the Bottom?”

.

giovedì, novembre 20, 2008

Giusto per non dimenticare

In questo momento nel Governo e in posizioni di grande prestigio e potere ci sono persone già appartenenti alla P2:
Berlusconi
Fabrizio Cicchitto
oltre a tanti altri...

Guardate Travaglio, in una tavola rotonda a Micromega:



Buona visione.

Tre commenti a crisi che sottolineano quanto postato da me inprecedenza

Benetazzo su "Se fallisce la General Motors"



Ma ritengo sia da meditare anche questo testo da VoxEu di Nicholas Bloom:

Vecchi appunti del mese di giugno 2008

Si tratta di cose risalenti a sei mesi fa ma ancora attuali.


I passaggi strutturali del nuovo assetto geoeconomico e le sue sfide

Crisi: i suoi fattori

Il passaggio determinante ad un altro assetto mondiale, o meglio, ad un altro percorso di sviluppo evolutivo delle relazioni geoeconomiche e sociali mondiali


L’energia: ogni “svolta” storica è sempre stata segnata da mutamenti strutturali nell’uso delle diverse fonti energetiche [forza umana, animale, acqua, fuoco-legna-disboscamenti, vento, fino ai sempre più veloci susseguirsi dell’uso delle fonti di energia fossili (torba, carbone, petrolio, gas) etc.]


Centralizzazione contro decentralizzazione sul territorio


Modularizzazione produttiva spinta al massimo1.

Questo esige però una massa di trasporti enorme e particolarmente articolata: la cosa pone problemi, specie in una fase di alti costi energetici per il trasporto.


Si sta accentuando la polarizzazione tra produzioni modularizzate e con accesso al mercato di fornitura globale e quelle “locali”.

Il fatto è degno di attenzione anche perché in Italia il settore della nostra meccanica si è integrato al livello internazionale più elevato, con triangolazioni Germania-Cina-Paesi delle’Est, e cresce trainando l’export italiano, mentre restano al palo le produzioni sempre più legate al vecchio “made in Italy” e sempre più “locali” come fornitura e tecnologia.

In questo senso, il discorso di Alberto sulla “biodiversità dei territori” da mettere al centro della riflessione, irrigandola con relazioni esterne e facendone emergere le capacità di integrazione, è veramente strategico oltre a fornire una misura di lettura delle trasformazioni in atto a livello geoeconomico mondiale. Non è un caso che sia stata proprio la grande massa dei “numeri” della Cina a far emergere le sue potenzialità “territoriali”, comprese le diverse “vocazioni” produttive nascoste.2


In questo quadro la crisi energetica si accompagna alla crisi da materie prime a cui ora si aggiunge quella di tipo alimentare.

Dire che ci sono sottostanti dei processi speculativi in realtà non vuole dire nulla, se non che questa è la prova del livello di integrazione e di interdipendenza dei fenomeni sociali ed economici, territoriali e geopolitica, che stanno venendo al pettine.



La finanziarizzazione, il market value, i nuovi (ormai vecchi) modelli di gestione del rischio-credito, la cosiddetta Fabbrica del Fee,


Sembra che un altro metro di interpretazione possa essere il decentramento contro la centralizzazione, o meglio, un nuovo mix tra queste due forze e schemi.

Si potrebbe infatti applicare sia all’energia, all’agricoltura (rimettendo, sia pure con forme nuove, al centro la produzione di qualità nei paesi travolti dalla centralizazione delle produzioni e dall’uniformità delle colture, richiamando in auge la biodiversità come ricchezza economica contro l’appiattimento centralizzato e impoverito delle produzione a tutto grano, tutto mais, tutto caffè, etc.), fino a sistemi di riciclaggio di tutte principali materie prime (rame, oro, platico, alluminio, etc.). In Giappone sono già cominciate le operazioni di riciclaggio di alcuni materiali (oro, rame e platino) dai rifiuti elettronici. Lo stesso sta cominciando a fare anche la Cina.


Questo non va a discapito, anzi, dell’utilizzo di nuovi materiali quali quelli che possono venire dalla ricerca nano-tecnologica.


Organizzazione dei servizi e delle imprese basate su una burocrazia “leggera”.




Cina:

la tecnologia. Come cambia, se cambia, il modello di produzione (minore composizione tecnica del capitale, meno capitale più forza lavoro qualificata3)


non dimentichiamo, come sottolinea Arrighi, che ne fa la base del suo ragionamento, che il concetto di impresa a rete, che sembrava di origine giapponese, in realtà risale alla Cina dei Song e alla “diaspora” cinese nell’area Indonesia, Malesia, etc. che governavano i flussi commerciali di tutta l’area proprio con strutture ramificate.


Al tempo stesso la Cina sta acquisendo tecnologia in tutti i modi4, soprattutto “trainata” dall’espansione commerciale più che dalla ricerca tecnico scientifica stessa, anche se sta comunque rafforzando l’area della ricerca di base, dalle biotecnologie alle ricerche spaziali.


Ma soprattutto si avrebbe una fortissima applicazione di “ricerca” tramite l’imitazione più spinta, fino alla pirateria elevata al cubo, di tecnologie intermedie, del tipo classicamente “incrementale”.

Questo denota comunque una capacità di “conoscenza tacita” di dimensioni estremamente elevate, se in due soli decenni imprese nate praticamente dal nulla5 (le famose “imprese di villaggio”), sono in grado di produrre processi di copiatura così spinti.





1 Vedere il testo di Alberto sul Polo Tecnologico di Bologna, che affronta questo tema.

2 Ne è un segno lo stupore con cui Deng Hsiao Ping e la dirigenza cinese accolse la nascita spontanea proprio delle imprese di villaggio e di contea. Anche Ted Fishman, “Cina Spa”, pg. 80 sui meccanismi iniziali (imitativi e di memoria) dello sviluppo cinese.


3 Indicato da Arrighi, in “Smith in Cina”, che lo riprende da un articolo del Boston Consulting Group (Hout & Lebreton, “The real contest between America and China”, 2003), dove si sostiene che, a differenza di quanto avvenuto con il Giappone una generazione addietro, che aveva re-inventato la manifattura attraverso il controllo di qualità e il continuo incremento migliorativo, la Cina sta de-inventando la manifattura attraverso la diminuzione di capitale investito e la re-introduzione di profili qualificati di forza-lavoro. Il risultato sarebbe maggiore capacità manuale e artigianale, una minore complessità nei processi di produzione e spesso un tempo minore dal design alla produzione.

4 Vedere James Kynge, “Frullati dalla Cina”, 2007, Newton Compton.

5 Veder Hutton sull’argomento

1




C'è un altro argomento che si intreccia pericolosamente con la crisi del petrolio, il mutamento climatico, i processi di urbanizzazione, l'uso sempre più "intensivo" di acqua richiesto dalle tecnologie dell'agricoltura monocolturale e OGM.

Il tema è l'acqua e la sua scarsità sempre più evidente (vedi anche l'articolo di Rampini sulla Cina in Repubblica del 19.06.2008).



lunedì, novembre 17, 2008

Ciò che da mesi avevo anticipato anche su questo mio spazio è arrivato. La crisi più profonda dal 1929. I meccanismi su cui si è innestata sono ormai abbastanza noti e precisamente individuati, anche nel mio post precedente.
Ora siamo alla fase del "...a crisi iniziata" e come uscirne.
Le elzioni alla presidenza degli Stati Uniti di Barak Obama mi fa tirare un sospiro di sollievo, coaì come la presenza di Krugman e di Stiglitz nel suo "Dream Team".
Soprattutto Krugman si è affrattato a scrivere che in questa crisi occorre essere più coraggiosi rispetto a quanto invece viene già avanzato dai settori (sempre loro) conservatori. Questi già accusano la politica del New Deal (come peraltro hanno fatto da decenni) di essere stata una causa dell'accelerazione invece che la cura della crisi degli anni '30 del secolo scorso.
Krgugman invece dimostra che:

a) la curva dei disoccupati era già in fase di ritracciamento prima dell'inizio della II Guerra Mondiale

b) che anzi fu la paura di Roosevelt che rischiò di annacquare i risultati ottenuti

c) che è invece ora di avere coraggio e lanciare un grande piano di investimenti pubblici in Welfare, istruzione pubblica, nuove tecnologie da fonti rinnovabili, una nuova politica industriale (vedi ad esempio gli eventuali aiuti all'industria automobilistica) che dia spazio a nuovio prodotti innovativi (cioé nuovi motori e nuove automobili, per esempio)

La riunione del G20 non ha prodotto un granché, nonostante i comunicati roboanti del nostro "malato di immortalità" presidente del Consiglio dei Ministri.
Inoltre il piano da 80 miliardi di euro per rilanciare l'Italia è sostanzialmente una bufala:
si tratta di soldi già stanziati (Fondi Strutturali Europei), speranze dai soliti Benetton delle Autostrade (che già non investono di loro, figuriamoci se mettono mano al portafoglio oggi), come ben illustrato da Tito Boeri sulla Repubblica di oggi, etc.

Il dubbio generale riguarda:

1) sembra difficile che la crisi immobiliare si riassorba a breve. In genere è un settore che ha una grande inerzia (ha infatti impiegato almeno due anni perché la sua crisi diventasse di evidenza pubblica: è dalla fine del 2004 che si avvertono i primi segni di degenerazione del settore...). C'è infatti chi parla di almeno dieci se non quindici anni. D'altra parte non si capisce CHI dovrebbe essere il soggetto che acquista le case, dal momento che sono rimasti sul mercato solo quelli più deboli (e altrimenti come sarebbe nato il caso subprime) e la classe benestante non può acquistare in eterno case a prezzi comunque da capigiro.

2) la mia personale valutazione è che gli immobili siano sopravvalutati di almeno il 40 se non 50% e finché non si riassorbirà il momento inflazionistico che li ha spinti all'eccesso i prezzi sono destinati a clare fino a questa quota. Ma lentamente, per almeno altri 10 anni.

3) la media dei salari è rimasta esageratamente bassa rispetto alla quota dei profitti sul PIL che ha caratterizzato gli ultimi due decenni, e la macchinetta si è rotta

4) anche perché sognare e spingere le classi medie a gettare soldi in Fondi pensionistici, assicurazioni sanitarie fasulle, idealizzazioni di un0istruzione privata di eccellenza, ha dimostrato di essere un delirio totale: poteva produrre solo carta e finanza di carta e basta.

5) questo appena scritto è probabilmente uno dei motivi di fondo della crisi: salari troppo bassi, che avrebbero dovuto essere sostituiti da creazione di ricchezza da Fondi su Asset finanziari e proprietari che invece non potevano crescere sempre al di sopra della produttività media dell'intero sistema produttivo. Gli americani (ma a certi livelli è avvenuto anche in Europa e in Italia) si indebitavano non già per consumare a qualsiasi costo, ma per sostenere le spese per una sanità privata demente e inefficiente (mantenendo ben 2 milioni di impiegati delle assicurazioni che devono stare dietro alle pratiche sanitarie (il dato è di Paul Krugman)...chissà se ci sono i fannulloni anche là....), ai costi di un sistema di istruzione che privilegia la eccellenza di cinque università e lascia andare tutte le altre...finché la forbice salariale (anche per i laureati) impedisce il rimborso dei debiti contratti per fare l'università. Per comprare auto a costi elevatissimi e con consumi dementi, peraltro per poter andare al lavoro da luoghi sempre più distanti, in un percorso di insostenibilità che si sta infatti accartocciando si se stesso.